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Lo cercavo, almeno per salutarlo. Sentivo che non lo avrei mai più rivisto, oppure che un nostro eventuale prossimo incontro avrebbe recato con sé un mannello di cose non facilmente dicibili. Sembrava, comunque, tutto normale; la pista, la passerella, il largo bus aeroportuale. Quel che normale non appariva, erano le dimensioni smisurate di quell'aeroporto. Mi ero sforzato di non avere con me che il bagaglio a mano; con la mia piccola borsa da mille occasioni di vita qualunque, j'avais l'air d'un con. E mi canticchiavo la canzoncina di Brassens che fa proprio così, nel ritornello.
Non c'era più, no. Si tentava, nel gelo di quell'afa, di pensare a che cosa veramente stessimo a fare. Una voce quasi insensata, non sapevo neppur dire se fosse d'uomo o di donna, parlava del check out. C'era chi s'era portato dei bagagli come se dovesse andare in vacanza, e si preoccupava falsescamente
Di fronte ad una visione improvvisa, che pure sai essere la destinazione d'un viaggio (quella per cui hai pagato, quella che hai considerato con insouciance in un piccolo normaldì d'estate nel tuo limitato mondo consueto, il gatto, il computer, la maionese, le bollette da pagare, i tuoi quarantasei anni d'ordinarie avventure), ecco la torre ergersi. Capisci che non è affatto una torre, ché non avrebbe alcun senso. È l'Ascensore Transiente Extracorporeo che si è materializzato, proprio come si materializza un cancro o una vincita di ottanta milioni di euro alla Superlotteria. Non pensi che possa esistere, finché non ti senti tutto addosso. Neanche il vedere: è il sentirselo addosso. Il medico che ti dice “hai questo”, la schedina che ti penetra nei capillari; e la vita cambia. Cambiava la vita, anche in quel momento, per tutti; il pretesto era un tizio che canticchiava canzoni. Dal registratore “Gelosino” che sgranava note e parole in un'adolescenza lontana, fino all'Ascensore per l'Altro Mondo. Non ci sarebbe stato nessun check out, nessun controllo; si trattava soltanto di entrare là dentro. Ci guardavamo tutti. E non c'era molto da attendere; ci vennero incontro gli addetti, quelli che ci erano stati assegnati dalla Supernatural Voyage Inc.
Un uomo alto e magro, che mi sembrava d'aver visto non so dove e non so quando, con un'andatura barcollante ed una curiosa spilla con un numero “69” sul bavero della giacca blu, comunque inappuntabile. Pantaloni grigi, d'alta fattura; su una camicia bianca la cravatta, pure blu, con il logo della SV. Non pareva essere particolarmente a suo agio, seppure nulla in lui fosse fuori posto; profferì un prego, seguitemi, in un italiano venato da un accento che mi risultava vagamente familiare. Lo accompagnava una donna, dai larghi occhi, che teneva in mano un cartello giallo con una scritta nera: FABRIZIO DE ANDRE' GROUP – ITALY.
- Adesso farò un appello nominativo. È importante, per favore, che mi rispondiate tutti. L'eventuale assenza di una persona iscritta comporterà l'annullamento del viaggio. Siate precisi, vi prego.
E una sequela di nomi, tra i quali il mio. Mi venivano a mente quali e quante volte ero stato chiamato assieme ad altri, fin dalla scuola elementare, e rivedevo la maestra Marziali con gli occhiali neri, l'eterna nazionale in bocca e l'accento livornese. Rivedevo la visita militare quando un torbido medico militare mi tastava un po' troppo a lungo il mio cazzo di diciottenne. Rivedevo tutto quanto, come fossi in faccia a qualcosa che non si poteva dire e che andavamo peraltro ad incontrare.
- Bene. Ci siete tutti. Presumo che vi siano state spiegate le modalità del viaggio, ma se avete ancora qualcosa da chiedere, vi prego di farlo adesso. Eventuali rinunce sono ammesse fino all'apertura della porta dell'Ascensore. La vostra permanenza durerà esattamente novanta minuti, al termine dei quali dovrete presentarvi, con la nostra assistenza, alla porta di discesa; le conseguenze di un ritardo vi sono già state ampiamente illustrate. Durante l'incontro con Fabrizio De André potrete effettuare domande fermo restando che è facoltà del vostro targiett non rispondere oppure parlare liberamente, a suo piacimento.
Uno, due, tre, dieci, quindici, trenta secondi. Le porte si aprono.
Entriamo senza dire niente, anche se qualcuno, forse per farsi una bizzarra forza, si mette a cantare sottovoce Preghiera in gennaio. Non c'era.
Non c'era neppure fra i nomi chiamati all'appello. Un gruppo di trentacinque persone.
- Mi scusi!
- Prego, signor...
- Venturi. Riccardo Venturi.
- Signor Venturi, le porte sono già aperte. Non può rinunciare, ora.
L'uomo alto e magro mi guarda con un'aria strana. Sembra che voglia dirmi qualcosa senza poterlo fare.
- Signorina, non voglio affatto rinunciare. Però sono certo che manca una persona. C'era con noi un uomo anziano che...
- Signor Venturi, il gruppo risulta al completo. Di quale uomo sta parlando?
- Un uomo anziano, alto, le ripeto. Sedeva accanto a me durante il volo. Era con tutti noi all'imbarco. Non lo vedo più.
- Signor Venturi, probabilmente si sta sbagliando. Conosce il nome di questa persona?
- No. Non mi ha detto come si chiamava...
- La prego, allora, entri e non si preoccupi. Può darsi che lei abbia parlato con qualcuno dell'equipaggio...
- Non era dell'equipaggio. Era un viaggiatore come noi.
- La prego, signor Venturi, entri
- Ma...
- Entri, per favore.
Una mano ossuta mi spinge assieme agli altri. Un'altra mano mi fa cenno di tacere; è quella dell'altro assistente.
(4 - continua)
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