Oggi mi va di aggiornare un po' la favanovela della mia “famosa” falsa pagina Facebook. Da notizie fresche fresche, stavolta provenienti direttamente (e tramite il caro, vecchio telefono) addirittura da un artista, l'autore (che sembra essere sempre di più un'autrice) sta addirittura imperversando, o qualcosa del genere. Semba che la sua intelligentissima “tattica” sia questa: chiede “amicizie” a popolo e comune (cantautori, giornalisti del “Buscadero” o di “Mucchio Selvaggio”, musicisti eccetera) per poi mettersi ad insultarli pesantemente a mio nome. Così facendo, ovviamente, questo autentico genio (o genia) intende “mettermi in cattiva luce” in quel buffissimo “mondo parallelo”. Pare che il falso riccardoventuri abbia attualmente, e nientepopodimeno, che circa 600 "amici" (stavolta le virgolette ce le metto io): un autentico delirio, ma un delirio che la dice anche molto, ma molto lunga sul Social Network planetario.
Ignoro naturalmente su cos'altro “batta” quell'Einstein della tastiera, anche se posso facilmente immaginarlo. L'unica cosa che ho notato, tramite Shinystat, è che molti accessi a questo blog provengono proprio da Facebook: quasi un record per uno che, ostentatamente, nutre verso quella cosa un sovrano disprezzo. Così come lo nutre nei confronti di questi squallidi personaggini la cui parvenza di vita, oramai, non può essere separabile dall'invenzione del signor Zuckerberg, e da quello che verrà dopo di essa. Non si tratta oramai più neanche di una “Second Life”: quella è la loro First, and Only Life. L'unica vita che rimane loro.
Polizia Postale? Mon Dieu, che mi sono ritrovato a pensare qualche mese fa. Ora come ora, sono convinto che, se andassi a “denunciare” una cosa del genere, persino i poliziotti si piscerebbero addosso dal ridere. Andrebbe a finire che mi darebbero dodici ergastoli per aver fatto scoppiare un'intera stazione di Polizia Postale: sì, ma dalle risate. Mi vedo già i “Venturi Libero”, la mia fuga in Ecuador aiutato da Lorenzo Flaherty (purtroppo non tutti possono avere a disposizione un Gian Maria Volonté...), l'arresto, la battaglia sull'estradizione, La Russa che propone di boicottare l'amichevole Italia-Ecuador, i parenti delle vittime di via della Casella che non potrebbero mai perdonarmi. Ma non mi si chieda lo sciopero della fame. Quello no. Alla fine mi farei due o tre anni e poi mi butterebbero fuori di galera per disperazione, dopo che gli ho finito le scorte alimentari.
Ridere, sì. Mi dispiace per i sovente ignari feisbukkisti che si ritrovano sfanculati dal finto riccardoventuri (o dalla finta riccardoventuressa), ma del resto non glielo ha mica ordinato il dottore di infilarsi nell'autoschedatura mondiale. Per il resto, soltanto immaginarmi il tizio o la tizia che, in una data parte di ogni sua giornata, si mette alla tastiera per dedicarsi a fare un riccardoventuri inesistente, e a passare il tempo in questa santa crociata contro il sottoscritto, riesce a riempirmi soltanto di buonumore. Con la necessaria aggiunta che, se c'è qualcuno che si sta davvero sputtanando con tutto il mondo e condannandosi non solo alla solitudine, ma ad essere considerato soltanto un povero mentecatto, o mentecatta, questo o questa è lui o lei. Magari, chissà, stanno pure insieme, hanno messo su casa e faranno tanti bambini: ma san Cirillo Kornbluth ha indicato la giusta via.
(Anche se, a dire il vero, più che in marcia questi idioti mi sembrano simili ai Seduti del ragazzino di Charleville. Seduti alla tastiera.
Neri di pustole, butterati, gli occhi cerchiati da anelli
Verdi, le dita bulbose rattrappite sui femori,
L'occipite piagato da vaghe astiosità
Come le fioriture lebbrose dei vecchi muri;
Hanno innestato in amori epilettici
La loro bizzarra ossatura ai grandi scheletri neri
Delle loro sedie; i piedi alle sbarre rachitiche
Attorcigliati mattina e sera!
Questi vegliardi sono sempre intrecciati alle loro seggiole,
Sentono i vivi soli lucidargli la pelle,
Oppure, gli occhi ai vetri dove la neve sbiadisce,
Tremano del doloroso tremare dei rospi.
E le seggiole con loro sono cortesi: incrostata
Di bruno, la paglia cede ai lati delle loro reni;
L'anima degli antichi soli si accende rinchiusa
Nelle trecce di spighe in cui fermentò il grano.
E i seduti, le ginocchia sui denti, verdi pianisti,
Le dieci dita che tambureggiano sotto la seggiola,
Si ascoltano sciabordare tristi barcarole
E le loro zucche cominciano un dondolio d'amore.
Oh! non li fate alzare! È il naufragio...
Si ergono, mugugnando come gatti schiaffeggiati,
Aprono lentamente le scapole, oh rabbia!
I pantaloni sbuffano sui fianchi rigonfi.).