domenica 22 novembre 2009

Un buon uso sapremo far


Non abbiamo, e non possiamo avere nessuna pretesa di buttare giù le loro galere, e il loro sistema-galera, con una e nemmeno con cento manifestazioni, iniziative, concerti, sensibilizzazioni. Non stiamo minimamente a contemplarci. Non ci diciamo mai di essere né dei resistenti né niente, anche se la Resistenza, in questi tempi di merda, cerchiamo di farla ogni giorno, ogni momento. Ognuno come può e come sa. Fare e basta, senza starsi tanto a chiedere se ne "valga la pena", senza farsi prendere nemmeno un momento dal pensiero di una resa. Senza rinchiudersi, uscendo fuori. Di nuovo davanti al carcere di Sollicciano, ad esempio; è la seconda volta in pochi mesi.


La prima volta è stata il cinque settembre scorso, dopo il terribile agosto delle rivolte. Ci siamo tornati ieri sera, con un compagno là dentro. Ma non soltanto per lui, perché così non può e non potrà mai essere; ed il Mannu è il primo a saperlo. Ci siamo tornati con un autunno di repressione in corso, coi morti tra le sbarre, con le minacce di sgombero, con le vite spezzate, con le sveglie all'alba, col divieto oramai appurato non soltanto di essere giovani, ma tout court di essere vivi. E noi, invece, non rinunciamo alla vita. Non ci rinunceremo mai. È la ragione per cui questa cosa sotto una galera si apre con la foto di una bambina appena nata, Bianca, in braccio al babbo e con in mano una lattina di birra più grande di lei. Là sotto, sotto quel posto di morte, noi, un sabato qualunque di novembre, portiamo vita e speranza. E portiamo voci e suoni. Portiamo musica, perché sia sentita non soltanto da chi è chiuso al di là di quelle sbarre maledette, al di là delle torrette con le guardie armate.

Un camion e dei ragazzi, i Kalamu, che non hanno esitato, per portare la loro solidarietà al Mannu e a tutti coloro che stanno in quella galera, a ficcarsi su un paio di macchine scassate e venire su a Firenze da Cosenza. Assieme agli altri gruppi di qui, ai Malasuerte FiSud, ai GuestSka, alla Banda K100. E a Fabrizio De André. Perché sotto una galera, Nella mia ora di libertà c'è sempre. Ma non per offrire un'ora o un secolo di libertà; c'è per dare un senso. C'è per dire che, al posto dei signori delle galere, noi non ci sapremo mai stare.

Non sapremo mai al posto di coloro che imprigionano, reprimono, ammazzano e suicidano. Coi loro articoli bis, ter, sexies che dilatano in senso sempre più generico le maglie entro le quali una persona si ritrova ingabbiata. Saremo sempre lì a inorridire di fronte anche a una sinistra che non trova di meglio che sbavare addosso agli eroici magistrati, vale a dire agli stessi mandaingalera che non esitano ad etichettare come terrorismo un petardo, e che hanno scatenato, dall'interno del sistema repressivo di cui fanno parte, una campagna di vero e proprio annientamento di ogni voce dissenziente, di ogni lotta, di ogni autentica opposizione. Basta che ogni tanto facciano finta di istituire un processino a Berlusconi, e diventano automaticamente fulgidi eroi della legalità. Ma sono i medesimi che, ogni giorno, incarcerano il Mannu per un raudo, una rissa mai avvenuta e una palma, e che mandano assolti con tante scuse degli assassini.


E così, eccoci ancora una volta sotto una galera. Al di là di sbarre che, comunque, oramai ci rinchiudono tutti quanti. Sacrificando quelli che dovrebbero essere i giorni di riposo dopo una settimana di lavoro malpagato, precario, inesistente, che del resto è una delle forme privilegiate della galera totale. La galera e il cimitero di chi muore ogni giorno, di chi non riesce e non riuscirà mai a condurre una vita degna di questo nome.

E, questo, proprio nel giorno in cui il potere cerca di farsi bello con una delle sue luride beffe. Non contento di prestarsi affinché tutti siamo messi a tacere, non contento di fare comunella coi peggiori fascistelli locali, tutti futurismo e questurini, non contento di minacciare sgomberi con ogni sorta di piccola e grande vessazione quotidiana, ora si mette pure a dare lezioni di libertà istituendo, nello spazio che fu della galera che ha preceduto questa sotto cui stiamo, addirittura una Casa del blogger perseguitato. Un "laboratorio di libertà", lo chiamano, mentre stanno eliminando ogni forma di libertà esistente in questa città. Basta, ovviamente, che il "blogger perseguitato" sia la finta "dissidente" modaiola cubana con tanto di sontuoso server e blog redatto in 18 lingue dal quale spara le sue balle che tanto fanno notizia. Basta naturalmente che la persecuzione avvenga dove fa comodo, e possibilmente molto lontano da qui; qui, invece, la persecuzione, la repressione e l'eliminazione fisica hanno ben altro tipo di "casa". Si chiama casa circondariale. Logico che le loro case della libertà le sistemino in una vecchia galera: è il loro cardine.

Ma noi, come cantava Alfredo Bandelli, sappiamo bene quale uso farne davvero delle loro galere. E anche dei tetri vialoni di periferia che le circondano, dedicati magari, come nel caso di Sollicciano, a qualche magistrato eroe vittima del terrorismo, quando alle centinaia di vittime che questi eroi continuano a fare assieme al loro Stato e alla loro polizia non è dedicato nemmeno un viottolo di campagna. Ogni qual volta sia necessario, riempiamo quei vialoni di musica, di suoni, di vita e di sorrisi. Nonostante tutto. E sono cose che stanno talmente sul gozzo a Lorsignori, e che fanno loro talmente paura, da desiderare ancora più repressione e morte. Perché sanno che sono cose terribilmente contagiose; altro che un' influenza annualmente trasformata in pandemia per far fare più soldi alle multinazionali farmaceutiche e a quelle della paura. Eccolo qui, invece, il vaccino: