martedì 21 settembre 2010

Forse sono diventato sano (Un post per Monica)


In questi ultimi tempi provo una sensazione che non mi vergogno affatto a definire molto piacevole: quella di sentirmi con la testa a posto. La sensazione dei meccanismi riaggiustati, del pensiero che fila, del porsi coscientemente dei limiti, del riconoscimento finalmente sereno di quello che sono, nel bene e nel male. Probabilmente, in tutto questo c'entra anche un rapporto con la Rete molto, molto diverso da quello che avevo prima. La Rete mi piace sempre, scrivere quel che mi passa in mente è ancora una parte importante della mia vita, e la ritengo uno strumento di controinformazione, di espressione e di lotta dal quale non è possibile prescindere. Ma non cerco più nessun tipo di personaggio, di stupore, di diversità imposta o autoimposta; in breve, ho cessato definitivamente di voler meravigliare gli altri e, va detto, anche me stesso. Mi sono ritirato e non mi interessano più, nella maniera più categorica, i cosiddetti personaggi della Rete. Né anonimi, e né con nome e cognome. Sono diventato totalmente avulso da dialogatori, sofisti, rivoluzionari pixellanti, acculturati, complottatori esplicativi, citatori di letterati, didascaloidi, fissati cronici, fanatici del cantautore o del formaggio grattugiato, e compagnia bella. Questa era la premessa. Una premessa necessaria perché, in Rete, "pazzo" è spesso il massimo dei complimenti; ed è un complimento, e a volte anche un insulto, che mi sono sentito rivolgere un po' troppo spesso. Forse ero pazzo davvero, e a un certo punto ho sentito il bisogno di non esserlo più, e di non ricercare di esserlo. Da qui le contromisure. Le contromisure le mette in atto chi non sopporta più la follia, perché si è accorto che genera soltanto altra follia.

In questi giorni, ho letto anch'io del fatto accaduto a Rimini, dove lo zio ha ucciso la nipote e si è poi suicidato. L'ennesima donna ammazzata, preceduta da altre e già seguita da altre ancora. L'ennesimo aggiornamento del Bollettino di Guerra. Senonché, stavolta, ho appreso che c'era di mezzo uno di quei personaggi della Rete di cui parlavo prima, dato che l'assassino, tale Stefano Anelli, era piuttosto famoso in Rete, con lo pseudonimo di John Kleeves, per essere il solito coltissimo esperto di qualcosologia, scrittore di saggi anche pubblicati a stampa da un editore serio, complottista inveterato, ed altre cose ancora. Ho letto dapprima questa cosa in un sobrio ed assai condivisibile post su Paniscus, e poi ancora su un altrettanto interessante post su Kelebeklerblog. Spinto da curiosità, visto che tale personaggio sembrava essere così conosciuto, mi sono voluto un po' informare; dopodiché mi sono detto che dovevo vivere in un altro mondo, visto che di questo John Kleeves ne avevo sentito giustappunto parlare la prima volta proprio dall'articolo su Paniscus. Mi era, ebbene sì, totalmente ignoto. Non sapevo nemmeno che esistesse, mentre tutta la Grande Rete lo conosceva. E, realizzata la cosa, mi sono sentito immensamente bene.

Nei giorni successivi ne ho lette di tutte. Non voglio rendere conto della cosa, dato che già moltissimi vi si dedicano con una cognizione di causa che non ho e che non desidero avere. Apprendo che il tizio era un antiamericano viscerale, e la cosa mi ha automaticamente ricordato quel che Boris Vian disse a proposito della sua canzone Il Disertore, in risposta ad un consigliere comunale parigino che la voleva censurata: "La mia canzone non è assolutamente antimilitarista, ma violentemente pro-civili". Credo che uno dei segni principali della sanità mentale sia dosare bene il proprio essere contro e il proprio essere a favore. Specialmente in Rete, ci sono un po' troppi anti- senza nemmeno un filo di pro-. Di questi catastrofici apostoli del distruggere mi sono, come dire, fracassato i coglioni, così come delle loro solitudini, del loro essere incompresi, dei loro bruciori e di tutto il resto.

Ma non è questo, neanche, il punto. C'è una cosa che mi torna ancor meno, in tutta questa vicenda. Su questo John Kleeves, o Stefano Anelli, si stanno sprecando un po' troppe parole. La tragica vicenda sembra che riguardi soltanto lui. Nemmeno mezza parola, o al massimo una di sfuggita, per la nipote assassinata. La quale non era un personaggio di niente. Era una povera donna che si faceva la sua vita, e basta. Non era, probabilmente, anti-un cavolo di nulla. Non scriveva complicati saggi con ardite tesi, non si faceva recensire da Marcello Veneziani e non era oggetto delle attenzioni della bloggosfera. Si è ritrovata sulle scale di casa lo zio anti-tutto, che l'ha ammazzata come un cane (a volgari coltellate, e non con la "romantica" balestra). Mi sia permesso allora di riservarle, anche se purtroppo non serve più a niente, tutta la mia simpatia e il mio ricordo. A Monica Anelli. All'ennesima donna uccisa da un uomo, che naturalmente ha tutte le giustificazioni per essere pazzo, solo, deluso, incompreso, tormentato eccetera eccetera. Tanto più che di "John Kleeves" si continuerà a parlare; i suoi saggi e i suoi articoli -giusti o sbagliati che fossero- continueranno sicuramente a girare in rete, ad essere citati, ad essere letti e commentati. Di Monica invece non si parlerà più. Soltanto il tempo del fatto di cronaca. Che almeno qui resti il suo nome, da parte di uno che, in Rete, non vuole più avere nessuna indulgenza, neanche minima, verso la pazzia distruttiva. Ai cialtroni e ai folli sia riservato il silenzio più totale; e che si distruggano una buona volta da soli.