lunedì 13 settembre 2010

Sveti Izvor, Iturbegi Saindua


I due signori che si vedono nella foto sopra sono Saturno e Sugo. Saturno e Sugo sono i loro nomi di battaglia quando erano ragazzi; e quando erano ragazzi erano tempi da cani. Saturno ha, credo, più di novant'anni; Sugo ne ha ottantaquattro. Sono gli unici due ancora vivi di questa cosa qui sotto, ricordata da una targa:


Due partigiani.
Sugo lo conosco da anni e anni. Alcuni giorni fa mi era venuto all'improvviso in mente che siamo gli ultimi che potremo dire di aver conosciuto dei partigiani ancora in vita, di averli sentiti raccontare la lotta di liberazione dalla loro voce, di aver mangiato e bevuto con loro, di averli visti sorridere e all'improvviso rabbuiarsi quando parlavano, o semplicemente ricordavano, dei ragazzi come loro che lo erano rimasti per sempre.

Per arrivare in Fontesanta, c'è una stradaccia che manco vi immaginate.
Ci andiamo ogni anno, in settembre; si caricano dei furgoni (propri, presi a noleggio, prelevati in modo fantasioso) e si stipano di panche, di tavoli, di pentole, di griglie, di strumenti musicali, di roba da mangiare, di vino. Perché è una festa, ed è una festa che è due cose. La prima è che non ce la leva nessuno, e la seconda è che ce la facciamo tutta da noi. Senza chiedere un contributo a nessuno. Alle nove del mattino ci presentiamo coi furgoni, e giù a sfacchinare per caricare. Poi c'è da fare quella strada di cui vi dicevo prima, una strada che il Comune di competenza si rifiuta non dico di asfaltare, ma nemmeno di sottoporre a degli interventi minimi di manutenzione. Ogni anno è peggio. Arriverà il momento che non ce la faremo più a salire su coi mezzi, e allora si dovrà inventare qualcosa.

Poi si mette a tavola la gente, perché ce ne viene tanta.



In mezzo a un bosco in un posto impervio, perché i partigiani mica stavano in posti comodi. Stavano a fare una repubblica democratica fondata sul lavoro; e, pensate un po', ci avevano delle armi. Poche e malmesse, spesso. Però sparavano. Non stavano a chiedersi se con la violenza si ottenesse qualcosa o meno, e non erano gandhiani (quelli che usano spesso questo aggettivo lo sbagliano regolarmente: scrivono ghandiani, gandiani, ganhdiani ma quell'acca dopo la di non ce la fanno proprio a metterla). Sparavano ai fascisti e ai nazisti. E venivano feriti. E morivano. Cose semplici, elementari; ma ora non ce n'è quasi più nessuno vivo. Bisogna dirle e ridirle, allora. Sono loro stessi, con le voci sempre più deboli che rimangono loro, a dirci di non fare né miti e né idealizzazioni. Ci dicono di fare soltanto memoria e di prendere, se possiamo, il testimone della staffetta.

Un bambino, uno dei tanti presenti coi genitori, e coi cani, ha fatto dei disegni:



È curioso, e interessante, vedere come un bambino rappresenta cose lontanissime, sentite raccontare in casa, elaborate dalla sua mente. Il partigiano ha una chioma che sembra quella di un allegro personaggio di un fumetto, ha in bocca qualcosa che somiglia a una sigaretta perché i partigiani fumavano tutti e le sigarette non le avevano o se le facevano con chissà cosa; ha il fazzoletto rosso con la stella; e sorride. Il fascista è un "coso" tutto nero. Ha una chioma corta e la svastica al collo. Non fuma. Ha la pistola. E non sorride.


Questi due,
e sono sempre Saturno e Sugo, raccontano che lassù in montagna si cantava un sacco. Prima di tutto non si cantava affatto Bella Ciao, che "nessun partigiano vero ha mai cantato"; cantavano Insorgiamo. Poi cantavano anche canzonacce da osteria, la Teresina compresa, e si facevano delle risate da matti. Sugo guardava la roba che si stava preparando e aveva come l'aria di dire: a avercela avuta noi. Di quel che mangiavano lassù non ne parlano mai, ché forse guasterebbe l'appetito a tutti. L'arietta fina si fa sentire, mette fame. E noi si va a comprarla, la roba da mangiare. Loro dovevano andare a procurarsela, che è una cosa ben diversa.


Insomma, sì, ci si fa una mangiata colossale (ma senza buttare via niente: la roba avanzata si rimangerà nei prossimi giorni), e poi, almeno in alcuni casi, si crolla:


Anche perché il lavoro da fare è stato tanto, e tanto ce n'è ancora da fare; lavare, sbaraccare, pulire, ricaricare i furgoni, rifare la stradaccia che in discesa è ancora peggiore che in salita, riscaricare tutto al...


...a quel posto scritto in basso a destra sullo striscione. Sugo ci viene da sempre, a quel posto. Lo dico perché in questi giorni, a proposito di un certo fatto successo nei giorni scorsi, in vari posti ne ho sentite e lette di tutte; a cominciare, naturalmente, dagli epiteti di ragazzotti, di borghesi, di figli di papà che popolerebbero i centri sociali.

Come dire: o andateglielo a dare a Sugo e a Saturno, di ragazzotti; eppure non avevano mica dubbi né tante profonde analisi politiche. Ma non solo a Sugo e a Saturno; andatelo a dire anche a quelli di mezza età, o ai ragazzi veri. Magazzinieri, ospedalieri, operai, precari, disoccupati. C'è persino uno spazzacamino. C'è uno che monta sugli alberi e li pota. E, fra tutte queste persone, ci sono indagati, c'è chi è stato in galera, c'è chi ha una condanna in primo grado a sette anni per aver manifestato contro una guerra ed essere stato pestato dalla polizia, denunciati, schedati, convocati. Secondo voi, gliene importerà qualcosa di elezioni, di schieramenti, di còmprola e Vèndola?

C'è che si fanno atti politici, e atti di militanza politica. Prendendosene le responsabilità. Non solo condannati e solonati dai signorini della nunviulenza o dei calcoletti elettorali, ma anche -spesso e volentieri- insultati. Ma sapete cosa accidente ce ne importa. Il valore di quel che facciamo, lo sappiamo; e lo sappiamo proprio in questi tempi di palude mefitica. Di errori ne facciamo parecchi, ma non quello di non considerare le nostre azioni. Neppure tirare qualcosa addosso a un servo venduto. E considerando tali cose sia come sbagliate a priori, sia come atti di cuore ma non di cervello commettete un errore: quello di voltare la testa da un'altra parte perché avete una paura beccarona. Ed è un errore che pagherete carissimo. Oltretutto non vi farà nemmeno vincere le vostre beneamate "elezioni".

Poi, certo, qualche volta ci si va anche a divertire, a fare festa.
Quando, a settembre, si va in Fontesanta, per le strade non c'è nemmeno un manifesto che lo annuncia. Eppure lo sanno tutti quanti; ed il bello gli è che ci vengono. Sciroppandosi la stradaccia di merda che il Comune non rimette in sesto. Andando su alla casetta che i partigiani stessi riadattarono un po' per ripararsi prima di scendere in città a liberarla dai nazifascisti. C'è gente di tutti i tipi, mica solo i frequentatori del centro sociale. Ci sono le famose famiglie. Ci sono i pugni chiusi. Ci sono i comunisti e ci sono gli anarchici. Ci sono persone di cui sembrate ignorare l'esistenza, ma forse -più semplicemente- di cui la temete.

L'anno scorso c'erano altri due o tre vecchi partigiani della Sinigaglia. Quest'anno ne sono rimasti in due. Vorrebbe retorica che se ne sentissero il peso addosso, gravi d'anni e di fatiche, stanchi, sfiduciati, "disillusi". Talmente disillusi che, ne sono certo, il Sugo fra due giorni sarà di nuovo a fare casino, a raccontare, a proporre. Se tanto mi dà tanto, un fumogenino a un "sindacalista" prezzolato lo tirerebbe anche lui; porrebbe qualche problema a chi ciancia di immaturità e di inesperienza. Lasciamo quindi la disillusione ai suoi professionisti; ci stanno tanto comodi e belli al calduccio.

Qualche anno fa, mentre passava una delle prime fiaccolate dei fascistelli fiorentini con la loro storiellina delle foibe, 150 bischerelli che formavano un lugubre corteo, fu organizzata una contromanifestazione nelle vicinanze: s'era in quasi 4000. Più vicini non si poteva andare, anche se lo avremmo fatto volentieri; ma, naturalmente, quei fulgidi ribelli non conformi erano protetti da un cospicuo schieramento di questurini. Qualcuno ebbe l'idea di issare su una canna lunghissima una bandiera jugoslava con la stella, e di sventolargliela ben bene perché la vedessero, quei maiali. E la videro, perché il loro caporione (uno messo lì dal camerata Fini Gianfranco, ma ora passato armi e bagagli al Nano) ne parlò dal palco. C'era anche quella, oggi in Fontesanta, di bandiera. Per questo la prima parte del titolo di questo post è la traduzione di Fontesanta in lingua serbocroata. La chiamo ancora così. Non vi fate infinocchiare dai nazionalismi: tra il serbo e il croato ci sono meno "differenze" che tra il fiorentino e il pratese.

Io, invece, di bandiera ne ho portata un'altra. Si chiama Ikurriña. Sugo ha detto una cosa importante. Ha detto che lui e i suoi compagni erano lassù, da ragazzi, sì per liberare Firenze. Ma non soltanto. Ci erano, e soprattutto, perché credevano nella fratellanza dei popoli, e che lottavano per un mondo dove questa potesse esistere. Bratstvo i Jedinstvo. Per questo la seconda parte del titolo di questo post è la traduzione di Fontesanta in lingua basca.


Ma dovrebbe essere un titolo in tutte le lingue del mondo, nessuna esclusa. Da questo bosco fitto dove quasi si aspetta che, da un momento all'altro, saltino fuori Robin Hood e la sua banda. Del resto, anche il loro bosco era santo: "Sheer-", il primo elemento del nome di Sherwood, è un'antica parola anglosassone che significa proprio "santo, sacro". E, invece, c'erano Sugo, Saturno e la brigata Sinigaglia; e Fontesanta si direbbe Sheerwell.

Incastonata su una parete della casetta in Fontesanta c'è, pensate, una Madonna. C'è pure il caso che qualcuno di quei partigiani la pregasse. E c'è persino qualche forte probabilità che lei, col suo bambino in braccio, oggi come allora rispondesse con un bel pugno chiuso. Magari i disegni del Partigiano e del Fascista li ha fatti quel suo bambino, una volta un po' cresciuto e salito in montagna a farsi crocifiggere per la Libertà.