martedì 10 luglio 2012
Di Siria e quori
Sono
una persona limitata.
Ad
esempio, non ho viaggiato molto. Ora, poi, ho cessato del tutto. Ho
vissuto per qualche tempo in un paio di paesi vicini, vale a dire la
Francia e la Svizzera; ho visto, sì, situazioni differenti che
mi hanno pur lasciato qualcosa dentro, e qualche volta non erano
facili. Ma si trattava pur sempre di cose fondamentalmente non
dissimili da quelle del paese dove sono nato e cresciuto. Anche per
questo, non sono mai stato e non sarò mai uno spregiatore “a
priori” dell'Italia. Non “spregio” niente e nessuno di questo
mondo, e il “mondo intero” che canto tanto esser mia patria va
dal cortile di via dell'Argingrosso fino all'Isola Elefante
nell'Antartide. Mi fanno schifo i razzismi e gli autorazzismi, e
trovo singolare e indicativo che gli italiani siano, ultimamente,
specialisti in entrambi le cose. Ma forse sono soltanto le classiche
due facce della stessa medaglia. La xenofobia e l'endofobia.
Non
sono e non voglio essere né il “superesperto”, né
uno che ha da dire sempre di tutto su ogni cosa. Tutt'altro. Continuo
imperterrito a considerarmi un limitato, uno che parla di poche cose
e di poca gente, e a cercare di osservare il mondo da una posizione
defilata e sotterranea. Forse perché ho acquisito, finalmente,
la piena coscienza che quel che dico e scrivo non riveste
un'importanza fondamentale, e che i miei pareri, le mie “analisi”,
le mie considerazioni e tutto il resto sono soltanto mie. E se le
“condivido”, ad esempio dalle pagine di questo blog, restano mie
lo stesso e non desiderano mai esser prese per verità
assolute. Non ho e non voglio avere né “occidenti” né
“orienti”, e cerco di sfuggire come posso al fascismo dei punti
cardinali; quanto ai “paladini della verità”, non so dire
se mi facciano più schifo o paura. Specialmente quelli che
amano dire che “la verità è rivoluzionaria”, dato
che, nelle loro mani, diventa sempre, prima o poi, uno strumento di
oppressione.
Ho
parlato pochissimo, su questo blog, delle rivolte nei paesi arabi.
Delle cosiddette “primavere”, per intendersi, e già queste
espressioni giornalistiche mi stanno non poco sul gozzo. L'ho fatto
una volta sola, per essere precisi, a proposito della Libia; e in un
modo allegorico, parodistico. Poi non ho più profferito
parola. Ancor meno della Siria di quel che, sembra, vi sta accadendo.
Non ci ho mai messo piede, come nella maggior parte dei paesi del
mondo. Così, seguo la situazione dai giornali e dalla rete, e
mi tengo in bagno, che è strapieno di libri perché sul
vaso ci “covo” per ore e ci sto benissimo, una vecchia guida
“Lonely Planet” della Siria rimediata non mi ricordo come. Per
vedere le fotografie e i posti, più che altro. Per sapere cosa
viene distrutto in quel momento. Non ci ho messo mai piede, no, così
come non l'ho messo in Libia e nemmeno in Tunisia, che pure è
tanto vicina. Non parlo nemmeno dell'Egitto, e da limitato quale sono
continuo a non porre neanche paragoni tra Chiessi e Sharm-el-Sheikh.
E così mi ripieno, da un lato, di stampa di regime; e,
dall'altro, di blogger “esperti”, delle loro analisi, delle loro
“opinioni” e dei loro immancabili quori.
Tra
di essi (ed anche tra le persone che, più o meno bene, conosco
personalmente), ne ho di quelli che sono stati più o meno
dappertutto; tutte le casistiche sono presenti. Cambi di vita e
mentalità in Egitto, avventure in Asia Centrale, latti
succhiati in Palestina e in Siria, lotte in Palestina e a Gaza,
tutto. E altro non posso fare che leggerli, e vederli scannarsi a
vicenda. Sono, indubbiamente, persone coinvolte
a vario titolo, e ne prendo atto. Quanto al sottoscritto, è
stato a suo tempo coinvolto nelle
vicende della ex Jugoslavia, molti anni fa. Quando ancora non c'era
Internet, o perlomeno la avevano in pochi “pionieri”. 1993 o giù
di lì. Ne riportai delle impressioni dirette, c'era ogni cosa
che mi coinvolgeva e
ho sperimentato che cosa significa conoscere dei luoghi e delle
persone in tempo di pace, e poi vedere quelle stesse persone e quegli
stessi luoghi con una guerra terrificante passataci sopra. Quattro
volte a breve distanza in Bosnia, in quell'anno che, oltretutto, per
me era di durissima crisi personale. Avessi avuto allora, poniamo, il
“blog”, avrei sicuramente scritto delle cose; ne ho raccontata
una dove si parlava di compaesani serbi e croati che si sparavano
addosso ad ore fisse, nell'entroterra dalmata, mentre un'ora prima si
scambiavano rakija e sigarette e si chiedevano notizie delle
famiglie. Poi una scarica di mitragliatrici, e l'innesco delle famose
impressioni. Mi hanno
domandato spesso perché, in fondo, una volta arrivata Internet
e tutti i suoi ammennicoli, non ne abbia parlato di più. La
risposta è che le mie impressioni
erano tutte sbagliate. Il mio cervello, a un certo punto, si è
rifiutato di fare a cazzotti col quore.
Il tifo calcistico, ora in deciso regresso, l'ho riservato
esclusivamente alla Fiorentina (ma con una grossa simpatia anche per
il Genoa; ovvero due squadre le cui tifoserie sono arcinemiche), ma
non è mai stato una cosa che ha improntato la mia vita e i
miei (limitatissimi) pensieri. Quel che ho “visto” nella ex
Jugoslavia in quell'anno disgraziato, non voglio utilizzarlo e non ha
valore applicabile generalmente; allora ho creduto di “capire”
delle cose, mentre invece non ci avevo capito nulla. Per capire non
basta “esserci stati” e neppure essersi fatto, casualmente,
sparare addosso. Ognuno aveva qualcosa da dire e da raccontare. La
banda jazz che si era trasformata in banda di guerriglieri croati, i
fornai serbi che continuavano a fare il pane la mattina presto e
andavano a far la guerra a una data ora, il sindaco di Dubrovnik
(Pero Polijančić, si chiamava) che mi faceva vedere la sua casa
sventrata - e quella casa l'avevo già vista tre anni prima
vicino allo Stradun; la vecchia Lijepe (“Bella” vuol dire) che le facevo avere i
pacchi con le scatolette e le ciabatte di plastica. Ne avrei anch'io,
di gente e di storie da raccontare; ma me le tengo e non le uso. E
comincia a farmi schifo chi utilizza la propria vita, i propri
“viaggi”, le proprie storie e i propri quori
per le proprie meschine diatribe ideologiche o di altro genere.
Per
questo mi rifiuto di dire alcunché sulla “Siria”. E non
solo perché non so nemmeno come sia fatta. Non ho e non posso
avere “verità” e “controverità”; e poiché
sono del tutto certo che la stragrande maggioranza di coloro che ne
sproloquiano giorno e notte (come di ogni altra cosa) sono nelle mie
stesse condizioni, stasera mi è presa la voglia di parlarne
per un'unica volta.
Non
sono equidistante. Per natura e per convinzione, io sto sempre e
comunque con chi si rivolta. Contro un regime, contro un governo,
contro un'oppressione. Per me non può essere e non potrà
mai essere altrimenti, e così spero di essere stato chiaro.
Però le cose, come mi è capitato di sperimentare di
persona, sfuggono anche quando “ci si è”; figuriamoci
quando non ci si è affatto, e se ne parla soltanto basandosi
sulle proprie sovrastrutture di ogni tipo. Invece, ciò cui sto
assistendo (particolarmente in Rete) è tutta una serie di
“scontri” vuoti di senso, di accuse sanguinose, di odi verbali, e
di gran quori che si
vogliono roboantemente messi a disposizione di qualche “causa”, e
che invece sono ad esclusiva disposizione del proprio ego. Non parlo
qui di coloro che, come me, non hanno mai vissuto in una data
situazione e in un determinato luogo; facciano quel che vogliono, e
come vogliono. Io taccio e ho i miei ben precisi motivi, accettando
magari il rischio di essere preso per l'indifferente che non sono;
chi non accetta questo rischio e vuole invece far sapere la propria
posizione su ogni lotta e su ogni evento che si svolge nel mondo,
accetti invece la possibilità di sparare una gran massa di
cazzate, perché è sempre così
(anche perché, non so se ve ne siete accorti, ogni puttanata
ha la sua documentazione).
E
così, ad esempio sulla Siria come, prima, sulla Libia,
l'importante è dividersi in fazioni, che possono o meno
riprodurre castelli “ideologici” e di altro genere, ma che
lasciano costantemente la sensazioni di trovarsi di fronte a persone
il cui interesse o la cui “passione” (il quore,
insomma) siano verso ogni cosa, fuorché verso quel paese e la
sua gente. E, qui, quelli che “ci sono stati” diventano
fenomenali. Il primo passo è dichiarare “marmaglia” chi
osa non pensarla come lui/lei. Chi esprime un'opinione differente,
più o meno “documentata” ma, magari, ugualmente
appassionata, viene immediatamente sottoposto al meccanismo di
delegittimazione, ai sarcasmi, agli insulti, alle dichiarazioni di
pazzia (la cosiddetta “psichizzazione dell'avversario”, in ultima
analisi derivata dalle pratiche staliniste; ed il bello è che
viene usata a piene mani anche dai cosiddetti “anarchici” e dagli
“antagonisti”, specialmente tra di loro). Segue la determinazione
delle fazioni avversarie; ed ecco spuntare i “rossobruni” da una
parte, gli “occidentalisti” da un'altra, e chi più ne ha,
più ne metta. Prima o poi, invariabilmente, ognuno diventa il
“fascista” dell'altro; e pensare che mi sto basando soltanto su
quello che vado leggendo nei blog. Non oso nemmeno immaginare che
cosa accada nelle viscere di Facebook, sapete, quella cosa che
“dipende l'uso che se ne fa”. Ci si mette una dose di quore
inenarrabile, di quore
e di qultura. Per che
cosa? Per il niente. Per il vuoto pneumatico. Si raccontano storie,
ci son sempre il bambino di Homs, la maestrina di Aleppo, il
tranviere di Hula, le granaglie messe a seccare sull'aia, il
negozietto di Damasco, il sottotenente di Latakia, i pomodorini sulle
case di fango, la gente che soffre. Tutto l'armamentario, mentre
scrivono e si attaccano, e mentre (soprattutto) con le loro
“posizioni” impediscono a chiunque di esprimere un parere
diverso. Parere che, peraltro, non è fondamentale; parere che
non sposta un millimetro il corso delle vicende; parere che, qualora
sbagliato, non verrà mai smentito. Si cercherà, anzi,
di ricorrere a tutte le arti per ribadirlo, ai bizantinismi più
astrusi, alle retoriche, alle finte “analisi distaccate”, ad
ironie stucchevoli, a ossessioni, a ricerche di “originalità
di giudizio” che riproducono invece schemi arcinoti e che di
originale hanno soltanto la protervia. Gare di muscoli e di
sopraffazione che potrebbero anche lasciare il tempo che trovano, se
non fosse che in parecchi casi sono condotte sulla pelle degli altri.
Un
giorno la Siria, quello dopo la Palestina, poi si passa ai Mapuche,
poi ai morti in galera; lunedì la TAV, martedì i
femminicidi, mercoledì gli arresti in Perù, giovedì
il g8, venerdì l'antifascismo militante, sabato la recensione
del filmino e la domenica si va al mare a ritemprarsi, che il giorno
dopo s'ha da ricominciare con la poesia o la canzone “simbolica”,
il martedì con l'incendio del centro sociale e il mercoledì
con quella merda secca di Roberto Saviano (che è una merda
secca a prescindere, sia ben chiaro). Giovedì solidarietà.
Per il fine settimana si vedrà, magari un saggettone teorico o
un arresto di anarchici nel Bhutan o di comunisti a Olevano Romano.
Fagocitati dalla Rete e dalle sue pastoie; questo soltanto sappiamo
fare. Per questo sta cominciando a farmi schifo, per questo sto
sempre di più apprezzando chi vi si tira fuori e fa altro. A
due metri da casa sua o in capo al mondo. Per questo vorrei
distruggere questa finta “comunicazione universale” che non
comunica un cazzo di niente a parte le proprie paranoie e le proprie
storielle elette a paradigmi universali. Non riesco più a
sopportare queste cose e i vostri quori
del cazzo, compagni e compagnucci, anarchici o comunisti che siate.
Le vostre “purezze”, le vostre “passioni”, i vostri
ragionamenti, le vostre sacre convinzioni per le quali ognuno diventa
passibile di essere messo alla berlina, calunniato, minacciato,
cancellato. Fosse per la Siria, poi; bastano, sovente, una
canzonetta, un libro, uno scrittorucolo. Vi interesserebbe, in fondo,
assai di più che chiudesse il blog o la pagina Facebook del
vostro “nemico virtuale”, piuttosto che Casapound.
Da
limitato quale sono, cerco di avere oramai coscienza piena di tutto
questo. Senza farmi forza delle “contraddizioni”, ché
anche questo rischia di diventare un artificio retorico da pixel e
nient'altro. Cerco di non scegliermi le mie rivoluzioni, o rivolte, e
di prenderle come sono senza perdere di vista che ci potrebbero
essere ragioni anche dall'altra parte ed in chi la propugna, senza
considerarlo “marmaglia” (un termine che piaceva tanto, nella sua
versione francese, a Sarkozy). Mi stanno bene anche la Vandea e i Sanfedisti, anche se sul blog ci ho la data del calendario sanculotto; ogni rivolta è gente che si ribella, e e la gente si ribella ha le sue ragioni anche se non piacciono ai nostri quoricini. Non ho da dire tutto su tutto, e se lo
dico so che esiste la ben precisa possibilità che sia
sbagliato. Non ho quori
cui demando tutto, perché il “cuore” non esiste ed è
soltanto una pompa (nel mio caso abbastanza malandata). Continuo a
non aver chiare una marea di cose, ad esempio in Siria; e dovrei una
buona volta smettere di leggervi tutti, perché l'unica cosa
che sapete fare è mettere ulteriore confusione in testa
generando così, e stavolta per davvero, nausea e indifferenza
con le vostre reciproche stronzate. Ci avete tutti da “ricordare”,
scordando che chiunque, in una guerra, può diventare un
assassino anche se, quando c'eravate voi, vi ha offerto il teino o vi
ha distillato qualche perla di saggezza antica che, volendo, ve la
potrebbe distillare anche il barista all'angolo, se solo lo
ascoltaste e ve ne fregasse qualcosa. Ci siete sempre stati, ma mai
quando si ammazzano tutti, ribelli e lealisti. Potreste correre il
rischio di essere, che so io, ammazzati anche voi come Vittorio
Arrigoni, quello che chiamate “Vik” con tanta familiare
partecipazione. O come Enzo Baldoni che non era andato a “vedere”,
ma a ficcare il naso.