mercoledì 9 ottobre 2013
Il volo
Stasera
una ragazzina di 12 anni si è buttata dalla finestra, a Firenze. Un
volo di dieci metri, gravissima all'ospedale. Il motivo: un
rimprovero
della madre perché non aveva finito i “compiti di matematica”.
Non
è matematica, quella. La matematica è creazione, è inventiva, è
poesia. Quella è, come tutte le altre cose, mercato. Non è lingua
inglese o francese quella che ti sparano addosso senza costrutto, non
mettendoti in grado di chiedere neppure del cesso in Inghilterra o in
Francia. Non è letteratura italiana, la letteratura italiana ha dei
segreti senza fondo che ti verranno sempre tenuti nascosti. Non è
scienza, non è conoscenza, non è niente. E' soltanto macello cui
dovresti rispondere con la ribellione, ché la ribellione viene
meglio a dodici anni che a cinquanta.
Ma,
certamente, c'è la famiglia.
La tua piccola galera quotidiana, come il panaccio del Paternoster.
C'è la mamma
che, a dodici anni, covava in sé un infantile bisogno di scappare,
non appena percepito, seppur vagamente, il fardello di merde
secolari, millenarie, universali recate in sé dall'istituzione
primaria e intoccabile. Si legge che i genitori,
alias trombatori ad uso riproduzione dell'orripilante razza umana,
siano disperati.
Ah ah ah. Creperai, forse, ragazzina dodicenne, per un compito di
matematica.
Avrai intuito, sia pure per un milionesimo di secondo, l'assurdità
dell'imposizione, di qualsivoglia imposizione.
Ci
sono delle serate in cui si rimpiange di non essere un valente
portiere. Di non essere stato là sotto a quella finestra di
famiglia, dieci metri sotto, e di non averti parata, ragazzina unica
e irripetibile. E di non averti presa e portata via per farti vedere
una via differente, senza galere e matematiche inesistenti. Di non
avere acchiappato al volo il tuo sorriso e averlo incamminato su
stradacce erte e petrose, come erta e petrosa è ogni conoscenza che
promana dalla consapevolezza.
Ché
niente sta nelle finte regole cui devi sottostare, e che si
riproducono e si rincorrono in una tremenda sarabanda di convenzioni
e di autorità assolute. Senza che io ti consideri minimamente
“figlia”, ma mia uguale e sodale; senza gerarchie, senza sangui
costringenti, senza prigioni quotidiane, senza orari e senza
bandiere. E senza definizioni.
Stroncare
la famiglia come si dovrebbe stroncare la finta conoscenza, la
cultura
fatta di schifose nozioni da quiz televisivo. Insegnare vuol dire
trasmettere la libertà assoluta di pensare, vuol dire giocare come
se il gioco fosse profondità dell'essere, e come se essere in
profondo fosse giocare. Lo vedi che cosa ha significato: gettarsi nel
vuoto, un breve e libero volo prima del selciato.
Ma
tu vivrai, vero? Non può, non può finire così. Anzi, tutto deve
incominciare. Bisogna scardinare tutto, bambina mia. Hai quell'età
in cui lo scardinamento è vita, in cui la mammina che ti rimprovera
obbedendo a melme cui non ha saputo opporsi e che intende darti
un'educazione
senza sapere nemmeno da lontano che cosa significhi elevarsi da
pecora a pensiero fondante e elèutero si rivela come misero
strumento di oppressione non diverso dal carceriere e, en resumidas
cuentas, dal boia, in cui ti si affaccia la morte che, da
meravigliosa sorella qual è al di là del deleterio e spiccio
francescanesimo di cartapesta, ti orienta a bivi di vita.
Rifiuterai
gli ingranaggi.
Il
pericolo è che tua figlia,
un giorno, se ne avrai una, ricada da quella finestra. Non sottostare
al lager della famiglia. Lascia evolvere la tua vita. Scappa. Non
avere mai maestri, ma compagni e compagne. Forza ogni lucchetto, ogni
gabbia, ogni destino precotto. La biologia dell'uovo e dello sperma
ti frega ogni istante che vivi. La tua matematica sia appresa
dall'osservazione senza confini, i tuoi padri veri sono Euclide,
Eulero, l'adolescente Étienne Galois. Le tue stelle si confrontino
con Galileo in persona, di meno non vali. Le tue parole si formino
dal magma indistinto che hai dentro e che si attiva soltanto con la
libertà assoluta e immediata fin dalla tua nascita da un corpo che
si dovrebbe guadagnare nei fatti la qualifica di vivizie e di
progenie, e non per decreto istituzionale.
Tu
puoi cambiare il mondo, puoi invertire la rotta tracciata che ha
inghiottito quel povero essere che ora si dispera.
E' tutto falso. Ha servito come serva di qualcosa che non capisce,
tua madre.
Che si fotta, lei e la sua disperazione. Lo vada a fare lei, il
compito di
matematica.
Calcoli la velocità accelerata con cui sei caduta al suolo,
obbediente pedissequa alla schiavitù predeterminata.
Stanotte
c'è un filo senza fine. Nella pioggia che è caduta, nelle stelle
che si son fatte strada. Nelle biglie che rotolano e schizzano,
nell'angiporto dei tuoi sguardi voltaici, nell'inizio e nella fine,
nel sonno che genera insottomissione al posto dei mostri, nel Peter
Pan che è foriero di scienza, nelle sbarre che crollano sotto i
colpi, implacabili, della ribellione.
Auguri,
ragazza mia. Auguri, dodicenne mia pari e complice.
Ti
voglio un libero bene.
Ti
spiegherei come una favola quel che so.
Quel
che non so, lo creerei per te.
Mi
spiegheresti come una favola quel che sai.
Quel
che non sai, lo creeresti per me.