domenica 20 maggio 2007

L'osservazione del silenzio


Dal newsgroup di Francesco Guccini (it.fan.musica.guccini), 14 luglio 2004. Gli sgabuzzini. Questo era quello che avevo a Friburgo; anch'esso, adesso, non esiste più; se non nel mio ricordo.

Pochi minuti alle cinque. Una notte senza un filo di sonno.
Prima mi capitava quasi tutti i giorni; sono uno che ha perso il sonno per più di dieci anni. Da un po' di tempo ho ricominciato, moderatamente, a dormire; e a russare, anche. Faccio delle apnee e mi risveglio con dei rantoli strani. Così dice chi mi dorme accanto.

Accanto a me, un libro: "La vita agra" di Luciano Bianciardi. Letto e riletto, perché è un libro che sento a me vicinissimo. E non solo perché vi si descrive, in prima persona, la vita di un traduttore; ma anche e soprattutto perché è la cronaca di una rabbia continua. E rabbia continua sarà, parafrasando un celebre slogan politico.

Nelle notti insonni è costume scrivere, ma non è semplice farlo a ruota libera. Specialmente in un luogo pubblico, ovvero in uno dei luoghi che oramai da anni ho scelto per mandarmi un po' in giro; un luogo pubblico dove si corre il rischio di essere letti e persino commentati. Nel frattempo, mentre si scrive e s'inanellano parole, si persiste ad essere circondati dal silenzio. A parte il rumore dei tasti che si battono.

Non è quindi un silenzio assoluto. Ma è un silenzio da osservare con attenzione, con acutezza. Peraltro inframezzato da flash tematici e da pause a base dell'eterna sigaretta e dalla rilettura di vecchie cose che un me stesso o degli altri hanno scritto.

Guardando, osservando e sminuzzando il silenzio, mi son venute a mente due cose. La prima è una scena del film Nuovo cinema Paradiso in cui Leo Gullotta, a notte fonda, bercia nella piazza vuota del paese: "La piazza è mia! La piazza è mia!". Dev'essere, credo, una mia personale allegoria di questo newsgroup alle 5.07 del mattino del giorno della presa della Bastiglia e della morte di Léo Ferré.

La seconda, sono dei versi di una vecchia poesia in rumeno che avevo imparato nel 1977, appena cominciata a studiare quella lingua. Stava su una grammatichetta fregata dalla biblioteca del liceo, e che adesso è -per strane e traverse vie del destino- in altre mani. Non me ne ricordo più l'autore, ma solo il titolo e alcuni versi, incompleti, in lingua originale: Omul gânditor, l'uomo che pensa.

Qualcosa come:

Sub lumina unei lampe ce palid licareste
[...] sta omul gânditor
[...] si lasa liber gândirii sale zbor.

Sotto la luce di una lampada che brilla pallida sta l'uomo che pensa, e lascia volare libero il suo pensiero. Questo vuol dire, più o meno.

Sigaretta.
Rileggo tre cose. Le rileggo sempre.
Una l'ha scritta Franco Senia. Parla di un suo amico avvocato democristiano ammazzato poi dalla mafia. Parla di un processo a Vallo di Lucania. Parla di uno che si chiamava Giovanni Marini.
Un'altra parla di un comandante partigiano, il Comandante Lupo. L'ha scritta tanti anni fa una ragazza, Elisabetta Sasselli, detta Betta, che poi non s'è più vista.
La terza l'ho scritta io e parla di un tappo.
E' forse l'unica cosa che ho scritto che amo rileggere. Per cazzi miei.

E continuo a osservare il silenzio che, a questo punto (5.21) non chiede che di essere osservato perché sempre più cose lo rompono. Al picchiettio dei tasti si aggiungono i canti degli uccelli all'alba. Un concerto meraviglioso, stupefacente. Parte il frigorifero. Mi muovo sulla sedia che fa i suoi regolari scricchiolii. Cambio posizione ai piedi ogni secondo. Oggetti attorno, sul tavolo. Una foto. Un pacchetto di fiammiferi offerti dalla bancarella di tabacchi del sig. Frankenstein, proprio così. Sta a Berna, sulla Marktplatz. Una bancarella che vende solo sigarette, sigari, pipe, tabacco e fiammiferi. Tenuta da Frankenstein. Accanto, chissà, ci saranno la bancarella di sanitari del dott. Mabuse e quella di frutta e verdura di Béla Lugosi.

Il cui vero cognome era "Blasko". Lo sapesse Vasco Rossi.

Il telefonino.

Un vasetto trasparente pieno di penne e matite. Però, prima, ci stava una salsa alle olive.

La Vita Agra.

Uno specchietto portatile nero trovato abbandonato su una panchina, in un giardinetto qui accanto. Tendo sempre a raccattare ogni oggetto abbandonato, dimenticato, smarrito.

Un CD con delle canzoni di Ivan della Mea.

Zetesi. Cioè, Zetesi non è sul mio tavolo. Però mi è venuta a mente, non so perché. Anzi, forse lo so ma non mi riesce dirlo.
Nico Chillemi. Lui poi, proprio non c'è sul tavolo. Se ci fosse lo schianterebbe. Ma vorrei che ci fosse.
Franco Senia non si vede da giorni. Dev'essere giù in Sicilia.
Sara Cattaneo. Di Lugano. Probabilmente non sa neppure che adesso abito in Svizzera.
E altre persone, che sono tutte qui coi loro nomi e cognomi. Tutte. Anche quelle che, probabilmente, tutto vorrebbero fuorché stare nei miei pensieri.

Osservare il silenzio, e cercar di raccontare il rumore che fa.
Descrivere i suoi suoni. Registrare la sua canzone.
Quant'è difficile chiudere questa cosa.
Meglio farlo così, all'improvviso.