mercoledì 30 maggio 2007

Di scarpata ferroviaria


Pagato il tributo all' "attualità", mi ributto con immenso piacere nell'inattuale più completo con una cosa scritta il 5 agosto 2005, quand'ero a Friburgo (quella svizzera, che propriamente dovrebbesi chiamare "Friborgo" in italiano, per distinguerla dalla Friburgo di Germania). Nonostante il titolo "gucciniano" (e la relativa, originale postatura su quel newsgroup), questa è la storia di un giorno solitario e di una pianta (quella nella foto). Ma come non pensare, ora che mi sovviene, al "giorno d'estate, giorno fatto di niente"...?

Agosto, che bel mese. Fatto apposta per una storia come questa, ché tanto nessuno la legge e la commenta. Come lo special TV dedicato a Piero Ciampi quand'era ancora vivo e ubriaco, che la RAI mandò in onda un 3 agosto alle ore 13.

Una storia che non c'entra nulla di nulla con niente. E così ve la racconto, o meglio la racconto a me stesso. Tanto non ho nulla da fare e per un par di giorni sono solo.

Comincia in un bar qui vicino casa, gestito da dei signori portoghesi e che reca il nome di Bar Benfica. Ci vado spesso a prendermi uno "sciacquè", il caffè di queste parti che però ti viene servito con il cioccolatino svizzero e la panna svizzera (la bustina di zucchero è invece, chissà perché, italiana). In questi primi giorni d'agosto, a certe ore si potrebbe apparecchiare una tovaglia in mezzo di strada, sull'asfalto, e farci un pic-nic. Tanto non c'è nessuno.

Nel Bar Benfica ci sono i tre giornali fondamentali: il quotidiano sportivo portoghese, che non mi ricordo mai come si chiama; lo Hürriyet turco, che non lo leggo perché non ci capisco una sega, e La Liberté. Il quotidiano "romando" di Friburgo in lingua francese, che invece divoro perché è uno spasso. Immaginatevi una cittadina svizzera di 32.000 abitanti dove da secoli non succede nulla. E se dico nulla, è nulla; e immaginatevi chi deve redigerne il quotidiano, e soprattutto le notizie che riporta nella sezione locale. E così ci sono paginate dove viene intervistato ogni singolo neolaureato dell'Università, reportages enormi sull'ultimo modello di autobus acquistato dall'azienda municipale dei trasporti, minuziosi resoconti sugli incidenti stradali (memorabile quello dello scorso marzo, quando un trattore e' volato di sotto da un ponte uccidendo sul colpo tre povere vacche mentre il conducente se l'è cavata con ferite non gravi), e così via.

Insomma, oggi pomeriggio mi siedo a un tavolino col mio "sciacquè" e la Parisienne accesa, e mi piglio La Liberté per gustarmi la sezione locale in santa pace. L'occhio mi cade subito su un titolone a caratteri quasi cubitali, che riporto in traduzione (perché ci ho sempre dietro il taccuino dove annoto ogni cosa):

SENSAZIONALE:
PIANTA MEDICINALE RARISSIMA SCOPERTA IN PIENO CENTRO A FRIBURGO

O cavolo.
Mi metto a leggere avidamente l'articolone, corredato di fotografie.
La pianta medicinale rarissima si chiama erniaria e la si credeva non dico estinta, ma quasi. Sembra che abbia bisogno di un microclima del tutto particolare per crescere, un microclima finora creduto esclusivo di certi recessi alpestri per altro non presenti immediatamente nei dintorni (casomai nel lontano cantone dei Grigioni); da tempo immemore la si ritiene un ottimo rimedio contro l'ernia (da qui il nome), ma oramai era stata data per perduta, per una curiosità botanica del passato. E invece dov'è andata a rispuntare, l'erniaria? Allo scalo merci della stazione ferroviaria di Friburgo, dall'acciottolato accanto ai binari. Un'erba triste di scarpata ferroviaria, ecco. Portata da chissà chi o da chissà cosa (una formica viaggiatrice, un refolo di vento dispettoso venuto da lontano che ne ha depositato i semi). Ha deciso d'aver trovato il microclima che le si confaceva e s'è abbarbicata, coi suoi ciuffi verdi, a un lastricato accanto ad un binario; facendo magari una pernacchia a chi le aveva cantato il de profundis e preparandosi a vivere la sua vita di pianta.

Nelle foto si vedono due studiosi della locale facoltà di scienze naturali, carponi e col culo all'aria, che la esaminano con delle lenti di ingrandimento e l'aria stupefatta. Lei se ne sta lì a acciuffettarsi, mentre i suddetti studiosi, nell'articolo, usano termini come "aberrazione botanica", si pongono interrogativi di elevato tenore scientifico e, soprattutto, dichiarano di aver già richiesto alla direzione delle ferrovie il permesso di recintare l'area apponendovi un cartello di avvertenza alla popolazione a non strappare la pianta per farsene "dei decotti che potrebbero risultare dannosi, perché le proprietà curative dell'erniaria abbisognano comunque di un adeguato trattamento in laboratorio" (e i montanari che se ne servivano in passato facendola magari bollire nell'acqua di fonte, come avranno fatto? Boh).

Me lo permettete un sorriso per questa pianta che è scappata da chissà dove per ricomparire a una stazione ferroviaria? Che ci avrà avuto voglia di vedere un po' di mondo, stanca dei suoi incontaminati habitat in quota? Di vedere la città?

Gli studiosi parlano poi della flora cittadina, che riserva sempre più sorprese. Non solo a Friburgo. "Il caso dell'erniaria ha del clamoroso, però nelle città si assiste sempre di più al proliferare di specie non comuni che vi trovano un ambiente insospettabilmente propizio. Bisogna saper riconoscere queste specie e salvaguardarle".

E così mi rendo conto finalmente che la stazione di Friburgo è a cinque minuti a piedi. Nelle foto, il luogo è facilmente riconoscibile; basta entrare in stazione e sgattaiolare senza essere visti lungo il binario giusto.

Vado a fare la mia visitina a mademoiselle Herniaire. Fortunatamente sono le tre e venti e allo scalo merci non c'è un cane; i ciuffi sono lì, a cinquanta metri, già recintati con elvetica meticolosità e con un embrione di avvertenza scritta in due lingue col pennarello, ma munita del regolare timbro della direzione della stazione à la demande de l'Université de Fribourg.

Se ne sta lì bel bella, a godersi il sole e le ventate di qualche treno che passa. Magari qualche seme schizzerà su quel treno, facendosi trasportare chissà dove. Mi metto a sedere sull'acciottolato con in testa qualche strampalata confusione a base della stessa ragione del viaggio, viaggiare, e su quanto sopravvivenza e fuga siano correlate. Ma è una pianta, perdiana. Una pianta che, però, non mi sembra affatto "quasi triste". Al minimo soffio d'aria, si muove. Mi ardisco persino a toccarla, a farle come una carezza. Ci faccio una chiacchierata col pensiero, di un minuto; ma tanto non saprete mai quel che ci siamo detti. Sono affari nostri.

Mi rialzo e me ne torno a casa.
Bisogna finire di fare le cose per i quali si sono presi degli impegni.
Però, a casa, stavolta ci torno fischiettando.
Firulì, firulà.
Firulì, firulà.


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