Di quartieri, oramai, ne ho visti parecchi. Ne ho visti, e ne ho vissuti. Non starò a farne l'elenco, ché non vorrebbe dire nulla; chi mi conosce sa quanto sono stato, e sono tuttora, legato al mio vecchio quartiere livornese. Nessuno può invece sapere in quale strano modo mi sia legato al quartiere di Friburgo dove ho vissuto questi ultimi anni, fino a pochi mesi fa. Ma ce ne sono altri. Certuni di Genova. Alcuni persino solo intravisti, come San Lorenzo a Roma, o come un piccolo quartiere della parte vecchia di Valenciennes attorno alla place de Neufbourg.
E' andata a finire che il quartiere di cui ho sempre fatto meno parte, è proprio quello di Firenze in cui vivo. Quartiere dove sono tornato periodicamente. Quartiere dal quale ho sempre voluto partire. Quartiere che ho sempre detestato profondamente.
A questo punto bisognerebbe che spiegassi che sono un abitudinario. Lo ero da ragazzo, e lo sono diventato ancor di più coll'avanzare dell'età. Mi piace fare sempre gli stessi percorsi. Fermarmi ad osservare sempre le stesse cose, che poi non sono mai uguali. Osservare i pur minimi cambiamenti, prendendoli spesso come coltellate ad un particolare organo interno, quello della percezione che lega ad un luogo, il quale non credo trovi molto spazio nei manuali di chirurgia. Certo che, comunque, deve esistere; io ce l'ho, e spesso mi fa un male boia. A Friburgo c'era un palazzo qualsiasi dove abitava lo Sceriffo; un omone con la barba che non diceva mai una parola, e che andava in giro col cinturone e il cappello Stetson. Sul suo terrazzo, all'ultimo piano, c'erano un ombrellone e non so quante bandiere americane. L'ultima volta che ci sono stato hanno espulso gli inquilini. Il palazzo deve essere demolito. Porte e finestre sbarrate. Niente più bandiere americane sul terrazzo. Lo Sceriffo lo avranno spedito chissà dove.
Non lo vedrò mai più.
E così, dicevo di questo quartiere di Firenze. Non lo avevo mai sottoposto alla mia prova del nove. I giri notturni. A Firenze ero sempre andato altrove, a farmeli. Ci ho voluto provare. Ho voluto vedere se questo quartiere poteva avere una chance; e ne è venuta fuori una cosa un po' particolare. Mi sono convinto di essere in Galles. Scivolando fuori di casa ad ore impensabili, facendo attenzione a non svegliar nessuno, senza sciacquarsi neanche la faccia e tornando nel medesimo silenzio dopo aver dilatato le pupille ai particolari che solo la notte rivela.
Ora, io in Galles non ci sono mai stato. Del Galles so che ci era nato Dylan Thomas. Che vi si parla una lingua impossibile. Che c'erano i minatori. Ma la notte di Coverciano mi ha spedito in Galles.
Per essere in Galles ci vogliono quantomeno una ciminiera e dei mattoni rossi. Ho scovato entrambe le cose in una stradina fra la Coop e via Manni, via del Clasio si chiama, dedicata a un "favolista" (così c'è scritto sulla targa stradale). All'angolo con un'altra stradina dedicata a un "diarista", tale Bargeo, c'è un terreno mezzo abbandonato, un "terrain vague" dove, un tempo, sorgeva un laboratorio farmaceutico. Con la ciminiera. In mattoni rossi. E la costruzione. Le erbacce. Sul muro esterno, qualche tempo fa, c'era la più chiara, e disperata, scritta con la vernice che abbia mai letto: diceva semplicemente "Porco Dio". Così. Senza nessun'altra specificazione.
In Galles bisogna sentire, lontani, i treni che passano. Si sentono. Quando si sente passare un treno di notte, senza vederlo, si vedono luci e persone che vanno chissà dove. E' una condizione assolutamente necessaria del Galles, questa. Mi dicono che dev'essere così anche in Norvegia, o in Sudafrica, o a Detroit; ma io devo essere in Galles. Ci vuole anche un po' di nebbia; qualche sera fa, c'era. Non si vede spesso la nebbia, da queste parti; quando è calata sulla ciminiera in mattoni rossi di via del Clasio, mi sono detto che la gallesizzazione di Coverciano stava procedendo spedita, e mi è venuta una specie di sorriso. Mi sarei messo a declamare qualcosa dal Mabinogion, se l'avessi saputa. In sua mancanza, mi sono blaterato dentro di esche dalle lunghe gambe, di long-legged baits, e ho visto parole in forma di rombo, e vecchi di cent'anni vittime di bombardamenti notturni, e la morte non avrà più dominio.
Certo è che ancora mancano alcuni particolari decisivi. Mancano gli ubriachi. Nulla da fare. Bisognerà che una di queste sere mi ripigli una delle mie sbronze colossali, per colmare questo dettaglio di non poco conto. Però c'è una vecchissima casa bruciata e disabitata, in via Domenico Moreni. Una cascina di quattro o cinquecent'anni fa rimasta incastrata in mezzo ai palazzi moderni. Quarant'anni fa era diventata una segheria; e siccome il legno brucia bene, pensò bene di essere consumata dalle fiamme. E' rimasta lì. Bruciata e gallese.
E c'è anche, nella stessa strada, un asilo nido abbandonato. Costruito evidentemente ai tempi del fascismo assieme ai blocchi delle case popolari, coi cortili, che ho cominciato a visitare intrufolandomi dentro i cancelli che trovo aperti. L' "ONMI", Opera Nazionale Maternità e Infanzia. Mi ricordo di quando l'asilo nido era aperto, con quella scritta sul portone in caratteri inconfondibilmente fascisti. Mi ricordo delle mamme e dei bimbi. Ora la scritta non c'è più. Tutto chiuso. Una volta sono entrato dentro un manicomio abbandonato, quello dove morì Dino Campana. Non credo che avrò mai il coraggio di entrar dentro un posto morto dove un tempo si sentivano gli strilli dei bambini appena nati. E questo è il mio Galles. Un Galles di notte, come di notte sono tutti i Galles di questo mondo, come tutte le immaginazioni delle persone nate di notte. E io sono nato nel profondo della notte.
Amico, come va nel tuo quartiere di Coventry, o di Swansea, o di Llandudno? Lo so quel che stai facendo. Stai girando, come me. Stasera ti sei fissato di essere a Coverciano. Stai stabilendo i tuoi parametri di covercianità. Ci vuole, chissà, una casa di pietra. O una pianta di limone. O qualcosa che sai soltanto tu, ma che è assolutamente necessaria perché tu sia a Coverciano. Ed è così per tutti i giratori di notte, che sono sempre là ed altrove al tempo stesso. Coi piedi sul selciato e gli occhi a forare il buio, sempre a traversare città e mondi nuovi su ponti di sogni.
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