martedì 29 maggio 2007

Nel paese di Antognoni


"Storie di gente più o meno comune", recita il sottotitolo di questo blog. Ed anche questa, pur ripresa dall'immediata attualità (una cosa che, comunque, sarà raramente presente qui dentro, tanto da costituire un'eccezione), è in fondo una storia di gente comunissima. E' la gente che alligna nell'anno 2007 in questo paese. E' la storia dell'informazione, dell'idiozia e dell'ipocrisia che lo sta uccidendo. L'illustrazione è la "Sacra Famiglia" di Annibale Carracci.

Accadde in un paese che per il sottoscritto, tifoso della Fiorentina, ha un significato. Marsciano, Perugia. Tornano alla mente i vecchi album delle figurine Panini: Giancarlo Antognoni, nato a Marsciano (PG) il 1/4/1954. Non perché Antognoni c'entri qualcosa in questa orrenda storia, ci mancherebbe altro; è solo che la cosa m'ha colpito. Non poteva fare a meno di colpirmi.

L'orrenda storia, è di questi giorni. Di queste ore. Una povera donna incinta di otto mesi ammazzata in casa, e con lei la bambina che aveva dentro di sé. La quale, tanto per aggiungere qualcosa, si sarebbe dovuta chiamare Viola. Poche ore fa, per l'omicidio è stato arrestato il marito, con le seguenti motivazioni: "indagato per i delitti di omicidio volontario aggravato (futili motivi, crudeltà verso la vittima, rapporto di coniugio) per aver cagionato la morte della moglie Barbara Cicioni, maltrattamenti nei confronti della medesima e dei figli minori, calunnia nei confronti di ignoti, simulazione di reato".

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Al giorno dopo il delitto. Torniamo al bel clima che si respira in questo bel paese di merda. Come è ovvio, il fatto, per le sue particolari modalità, suscita grande impressione; viene immediatamente catalogato come omicidio per rapina, tanto più che pochi mesi prima, nella stessa villetta del delitto, era stata effettivamente commessa un'effrazione. I giornali partono in quarta; tra questi si distingue stavolta "La Repubblica", e sarà bene parlarne un pochino di questo giornalazzo finto "progressista", e della sua attuale foia securitarista. Una foia che, naturalmente, fa vendere benissimo; perché, in fin dei conti, tutto si riduce a questo. L'informazione non come strumento di conoscenza, ma come assecondamento morboso e criminale delle foie, più o meno inculcate, dei suoi lettori e di una società intera.

Siamo, è bene sempre ricordarlo, nel paese della strage di Erba, e della caccia al tunisino finché non si scopre che il macello è stato compiuto dagli itaglianissimi vicini di casa. Siamo nel paese dove l'omicidio a ombrellate commesso dalla rumena provoca l'ondata di indignazione, le interrogazioni parlamentari, l'immancabile fiaccolata e i cortei dei fascisti di Forza Nuova, mentre l'assassinio di una bambina polacca di cinque anni da parte dell'itagliano viene liquidato in poche righe, in un servizietto in coda al tiggì, senza manco l'accensione di un cerino. Siamo nel paese dove quasi ogni giorno si celebra un fèmili dèi a base di strangolamenti casalinghi, uxoricidi nel bagno, accoltellamenti di figli nel sonno, stupri di figlie in doccia e chi più ne ha, più ne metta; ma basta coprire tutto quanto con la creazione del mostro collettivo.

Il quale mostro collettivo è variabile nel tempo. Ora, ad esempio, quello più gettonato è il "rumeno". Così è accaduto anche per l'omicidio di Marsciano. La "Repubblica" prende la palla al balzo. Pochi giorni prima ha addirittura pubblicato in prima pagina l' "accorata lettera di un lettore" che, pur dichiarandosi "progressista e di sinistra", si spaventa di "essere diventato razzista" e si profonde in una pappardella i cui ingredienti sintetizzano alla perfezione il Repubblica-pensiero attuale, con tutti gli ammorbamenti a base di "degrado" e "legalità" che oramai inquinano ben più della spazzatura in Campania.

Due paginoni, in seconda e in terza, sulla "morte dell'isola felice Umbria", con tanto di intervista ai cittadini impauriti & indignati. Va in scena la ferocia razzista di questo paese, tratta questa volta da una cosiddetta "regione rossa". Chi è stato a ammazzare la mamma e la bambina? Ma i rumeni, è ovvio! Senza neppure pensare un attimo, senza neppure un minimo dubbio. Già si organizzano le ronde, già si prevede la fiaccolata (bisognerà prima o poi studiare un lanciapiscio per spegnerle, 'ste fiaccole), già si fanno le profonde analisi. Nel caso di Erba, la strage era stata compiuta dal tunisino "perché era contrario all'educazione non islamica del figlio"; stavolta invece la colpa è tutta di quelle maledette badanti rumene, che si portano dietro la famiglia di delinquenti, stupratori & assassini. Parola de "La Repubblica". Il sindachetto si chiede "che cosa accadrà ora che la Romania è entrata nell'Unione Europea"; e via discorrendo. Tutto il campionario perfetto dell'Italia del 2007.

Avviene però l'imponderabile. Come a Erba. Vengono fatte delle indagini, e le cose cominciano subito a quadrare poco. Strane chiazze di sangue che corrispondono tra quelle ritrovate in casa e quelle presenti nella macchina del marito. Gli stessi bravi paesani che avevano già condannato i rumeni cominciano a parlare di liti, di botte, di quotidiani inferni di famiglia ("gravissimi maltrattamenti pregressi", recita l'ordinanza di arresto; ma quant'è bella e santa, la famiglia!); finché non si giunge all'arresto di oggi, alla presunta messinscena del marito omicida, e, soprattutto, alle invocazioni alla pena di morte fuori dalla caserma dei Carabinieri. Senza oramai più accorgersi che la pena di morte è già stata comminata ed eseguita in massa nei confronti dei cervelli della gente.

Ma dimenticavo che siamo sulla "Repubblica", lo stesso giornale che si accora tanto per la chiusura (che non è neppure tale) di una schifosa tv venezuelana, di quelle a base esclusiva di telenovelas, televendite, quizzini presentati come "opposizione"; di quelle che ben conosciamo da queste parti, di quelle che sono con tutta probabilità corresponsabili nella condanna a morte e del ghigliottinamento delle menti. Dimenticavo anche che siamo in Italia, pardon. Resta solo quella bambina mai nata, di nome Viola, per la quale voglio solo pensare che sarebbe stata, un giorno, migliore.





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