Sempre nel "dopoguerra" (dopoguerra si fa per dire…), mi preme segnalare un episodio piuttosto curioso nella sua tragicità; ma, per onestà, devo dire che i dati che ho reperito devono essere ancora verificati appieno. Riporto quindi le cose così come mi sono pervenute, senza alcun commento: in Viet-Nam, negli anni '50, con l'appoggio dei cattolici americani e del Vaticano (che chiamava le truppe americane truppe di Cristo, come fossero quelle di una crociata), vennesostenuto -come è noto- un colpo di stato nel sud del paese, e portato al potere un certo Ngô Đình Diệm, fanatico cattolico.
Ngô Đình Diệm (1901-1963)
Costui fece in modo che gli aiuti americani al popolo vietnamita giungessero solo ai cattolici; di fatto, le altre religioni non cattoliche (e i buddhisti erano la maggioranza) vennero abolite e ogni dissidente rischiava il campo di concentramento. Si calcola che vi furono rinchiuse circa 500.000 persone; 275.000 furono torturate e 80.000 uccise.
Athanase Seromba durante il primo processo.
In Ruanda, piccolo stato africano, nel 1994 furono uccise quasi un milione di persone nella guerra civile fra gli Hutu e i Tutsi. Molte prove e testimonianze accusarono la Chiesa per non essersi opposta al genocidio, e di aver anzi favorito gli assassini. Uno dei casi più eclatanti degli ultimi tempi riguarda le accuse mosse contro il sacerdote cattolico Athanase Seromba, accusato di aver svolto un ruolo centrale nella pianificazione ed esecuzione del massacro di oltre 2000 Tutsi nella sua chiesa situata nel Ruanda occidentale. Le prove contro la Chiesa Cattolica sono state messe agli atti nonostante i tentativi di boicottaggio da parte ello stesso Seromba e di altri detenuti che non si sono presentati in tribunale. Nonostante nuovi tentativi di sabotaggio, che rischiano di rallentare ulteriormente i lavori, la Corte è sembrata questa volta decisa ad andare avanti.*
* Aggiornamento necessario. La Corte è infatti andata avanti: dopo che Seromba era stato "messo al sicuro" in una parrocchia italiana (quella di S.Martino a Montughi, nella diocesi di Firenze), è stato riconosciuto e la sua vicenda portata alla luce grazie ad un articolo del "Times" di Londra. Estradato, ha subito un primo processo nel 2006 con il quale è stato condannato a 15 anni di carcere. Ha pensato bene di ricorrere in appello, e mal gliene è incolto: durante il processo di secondo grado, è stata riconosciuta la sua partecipazione attiva al massacro e una assoluta mancanza di pentimento. Motivo per cui i 15 anni si sono tramutati in ergastolo.
Intanto la Chiesa Cattolica ha tenuto a precisare che l'eventuale coinvolgimento di esponenti cattolici nei processi di Arusha riguarderebbero situazioni esclusivamente individuali e in nessun modo associabili alle istituzioni della Chiesa. Le autorità ruandesi e alcune organizzazioni umanitarie avevano in passato già accusato la chiesa cattolica di aver incitato e contribuito attivamente all'uccisione di esponenti Tutsi e Hutu moderati. Nel 2001 un tribunale belga condannò due monache benedettine con l'accusa di aver fornito gasolio agli estremisti hutu che diedero poi fuoco ad un garage dentro cui si erano rifugiate 500 persone della stessa etnia.
Si è molto insistito, specialmente durante il pontificato di Karol Józef Wojtyła, sul cosiddetto "perdono" chiesto dalla chiesa cattolica alle vittime delle numerose e terribili malefatte che essa ha compiuto nel XX secolo; e non stiamo certo qui parlando delle crociate, ma di avvenimenti che, nei casi più recenti (come il Ruanda) risalgono a pochi anni fa. Certo, ci sono stati gesti clamorosi come quello delle "scuse agli ebrei" , scuse chieste dallo stesso papa che -come abbiamo visto- ha santificato l'antisemita fascista Escrivà de Balaguer; ma, per il resto? Per quanto ne so e sono stato capace di reperire, si sono avute solo tre dichiarazioni pubbliche provenienti da ambienti ecclesiastici: quella del vescovo cattolico di Banja Luka (Bosnia-Erzegovina), mons. K. Pihler, nel dicembre del 1963 (si noti che chiese scusa proprio per le malefatte di Sant'Alojzije Stepinac); quella della conferenza episcopale tedesca del novembre 1988 e quella dell'episcopato ungherese nel 1995. La formulazione di quest'ultima è però un autentico capolavoro di ipocrisia: "Chiediamo perdono per le debolezze dei nostri fedeli che, per paura o vigliaccheria, hanno permesso la deportazione e lo sterminio di massa dei loro compatrioti ebrei." (17) La "palla", insomma, viene passata alle "debolezze dei fedeli", e non alle alte gerarchie della chiesa cattolica; i "buoni pastori" scaricano le colpe sul gregge. Si tratta della stessa chiesa, è bene non scordarselo, del cardinale József Mindszenty (1892-1975), arcivescovo di Esztergom e primate d'Ungheria, che durante la dittatura di Horthy capeggiò la reazione clericale-monarchica e avallò di fatto il "terrore bianco" scatenato dall'ammiraglio. Perseguitato in seguito dal regime stalinista ungherese, divenne come è noto uno dei simboli della cosiddetta "chiesa del silenzio", un silenzio che però la chiesa cattolica aveva già osservato scrupolosamente in tutta Europa e in mezzo mondo in occasione di fatti terribili. E quando non era silenzio, era sostegno indefesso ai peggiori dittatori e torturatori.
Quando scrissi la forma originale (qui a volte modificata e aggiornata) di questo piccolo saggio, abitavo in Svizzera; mi piacque quindi terminarlo con "qualche cosa" che è avvenuto anche in questo pacifico e democratico paese, dove pur sempre il Partito Comunista è rimasto fuori legge fino a non moltissimi anni fa, e dove la cristianità, sia nella sua forma cattolica che in quella protestante, è tradizionalmente assai forte.
Nel periodo tra le due guerre, un certo numero di pastori luterani furono attivi soprattutto a Zurigo, a Sciaffusa e a San Gallo in dei movimenti filotedeschi che, in alcuni casi, non è errato definire nazionalsocialisti. Un certo numero di loro colleghi dei cantoni di Neuchâtel e di Vaud militarono "anema e core" nell' Ordre National di Maurras (movimento di cui faceva parte anche il Robert Brasillach nominato nella Prima parte ) oppure nella cosiddetta Ligue Vaudoise (Lega Vodese), portabandiera esplicita di "un pensiero politico antidemocratico, ostile ai diritti dell'uomo, xenofobo e antisemita". (18)
Il Canton Vaud vide anche due importanti processi politici che coinvolsero dei pastori protestanti. Il primè fu quello contro Charles Clot, pastore di Morrens, membro della "Lega Vodese" (c'è sempre una lega di mezzo…) e dichiarato simpatizzante nazista, accusato di indottrinare il suo gregge in vista di un possibile arruolamento volontario nelle fila della Wehrmacht. Clot, sostenuto e difeso a spada tratta dalla Chiesa Nazionale, verrà assolto nel novembre 1943, ma dovrà lasciare il suo posto, sconfessato da una petizione firmata da una cospicua parte dei suoi parrocchiani, nella quale si legge: "La giustizia si è dimostrata blanda perché si trattava di un prete." Il secondo processo si svolse nel giugno del 1947, dato che l'accusato, al momento dei fatti, aveva pensato bene di svignarsela in Germania. Si trattava del pastore Philippe Lugrin, anch'egli membro della "Lega Vodese", ed in seguito del "Fronte Nazionale" (un nome che ritorna…) e nell'"Unione Nazionale". Curiosamente, la Chiesa Nazionale svizzera lo aveva sì radiato dai suoi ranghi, ma a causa…del divorzio da sua moglie. La stessa chiesa, però, non aveva mosso un dito quando il pastore si era ritrovato immerso fino al collo nel delitto di Payerne dell'aprile del 1942, quando un mercante di bestiame ebreo e simpatizzante socialista, Arthur Bloch, era stato massacrato da cinque membri di una cellula clandestina del "Mouvement National Suisse" (Movimento Nazionale Svizzero). Lugrin sembra essere stato il vero ispiratore e istigatore del delitto; per questo sarà condannato a vent'anni di carcere.
Ma crimini e misfatti non mancano neppure dalla parte cattolica, come ad esempio le messe solenni celebrate nel Canton Vallese (a Uvrier e Saint-Léonard) in occasione dei convegni di un movimento dal nome inequivocabile: "Fédération Fasciste Suisse" (giugno 1935 e maggio 1936), senza contare le precise connivenze dei Cristiano-Sociali (a quell'epoca sostenitori violenti del corporativismo di stampo mussoliniano) con i membri delle formazioni fasciste o filonaziste (in particolare a Ginevra e a Zurigo). Tra le circa venti associazioni e movimenti di estrema destra a carattere religioso e clericale che hanno visto la luce in Svizzera tra il 1945 e il 1995, è necessario segnalare la celebre "Fraternità San Pio X", fondata da Mons. Marcel François Lefebvre, e che sarà protagonista di un clamoroso scisma dalla chiesa cattolica proprio in nome dell'ultra-tradizionalismo più oscurantista e forcaiolo (presso il grande pubblico la cosa è "passata" soprattutto per il fatto della messa in latino, presa a simbolo del rifiuto totale del Concilio Vaticano II; ma sarebbe bene dare un'occhiata a cosa veramente propugnino i lefebvriani). In Svizzera, comunque, la "Fraternità San Pio X" è forte: attualmente conta circa 5000 fedeli, 39 "chiese" (considerate sconsacrate dalla chiesa cattolica ufficiale, che ha sospeso mons. Lefebvre a divinis), un seminario e tre scuole a Martigny, Salvan e Onex.
Recentemente, per diretto e fraterno interessamento di Josef Ratzinger, lo scisma lefebvriano è rientrato e i suoi sacerdoti sono rientrati a pieno titolo nella chiesa cattolica e apostolica romana. Mons. Lefebvre era stato scomunicato; alla sua morte (1991), comunque, la sua salma fu benedetta da un discreto numero di membri della gerarchia cattolica ufficiale, compreso il cardinale Silvio Oddi. Parecchi sostengono che la scomunica gli fu revocata "in articulo mortis". (Aggiornamento 2010)
1967: Padre Pio bacia l'anello di Mons. Lefebvre
In Svizzera ha attecchito bene anche l'Opus Dei, che conta circa 300 membri, istituti "culturali" a Zurigo, Ginevra, Friburgo e Losanna, e due case dello studente a Carouge e Ginevra; e scrivere queste cose mi fa quasi venir la voglia di precisare che, in questo bislacco paese, accanto a questi begli elementi in tonaca e crocifisso c'è pure stata una brigata di partigiani comunisti ticinesi che, fuorilegge nel proprio paese, andarono a combattere in varie zone della Lombardia accanto ai partigiani italiani.
NOTE alla 10 e ultima parte
17 Le Droit de vivre, Paris, janvier-mars 1996, p. 32.
18 Alain Clavien, Messieurs de la Ligue vaudoise si nous évoquions
votre histoire... in Le Nouveau Quotidien, 7 novembre 1996, p. 16.
(10 - fine; prevista Appendice)