martedì 14 dicembre 2010

atloviR


Mettiamola così.

Da una parte, gli ovvi cori istituzionali e le condanne. Il borgomastro, un fascista neanche troppo riciclato (oltre che il solito delinquente di tre cotte & sistematore di amichetti, come si è visto nei giorni scorsi) parla di violenza vergognosa; e finalmente se la sono guadagnata un po' di chiarezza, di estrema chiarezza. La foto sopra è, infatti, chiarissima. Dice che c'è gente che ha ricominciato a non scappare più, come diceva una vecchia canzonetta. Dice che le vetrine (neanche più tanto sfavillanti) di questo "natale" ancor più di merda degli altri sono state prese a sampietrini; dice che è stata assaltata la sede della "Protezione Civile", più nota come Agenzia Spot Governativi; dice che i blindati della polizia sono stati dati alle fiamme, così come l'elegante quartiere Prati. I tavolini dei caffè alla moda usati come armi. Una foto che dice, come si vede, molte cose. A tanti non faranno piacere. Ad altrettanti faranno paura. Perché quando si innesca qualcosa, le cose bruciano. Persino in Italia negli ultimi giorni del 2010.

Da un'altra parte vi sarà scetticismo. Per taluni, le rivolte sono esistite (o meglio, sono potute esistere) soltanto quando vi prendevano (più o meno) parte loro. Poi hanno decretato un ostracismo spesso fatto d'indifferenza, di sarcasmo e di astrusità indecifrabili; infine, in alcuni casi, hanno fatto come Jud Elliott III nel Paradosso del passato di Silverberg, e si sono infilati nelle loro epoche preferite, quelle "degne di essere vissute", lasciando a noialtri questo indegno tempo presente dove siamo condannati a pene fantasiose. Sorbirci quotidiane disillusioni, ad esempio; sconfessioni, patenti d'incapacità, un po' di tutto. La lotta sembra terminata con loro; e non solo. Sembra che se la tengano stretta come qualcosa di inviolabile, di non trasmettibile. Sembra a volte che le loro lotte se le siano messe in una cassetta di sicurezza in banca: nessuno può accedervi senza un codice, una combinazione. Eppure, e lo so, e lo vedo, qualcosa soffia ancora.

Da un'altra parte ancora, una giornata che è stata di mobilitazione contro un governo. Ora, per tanto tempo ho ripetuto anch'io che dei governi non me ne importa niente, e tutto quel che si vuole. Ad un certo punto mi sono reso però conto che un governo, oltre ad esistere, mi tocca da vicino e influenza la mia vita come quella di tutti. Ho smesso un po' di fare anarchicci senza troppo costrutto, e le macchine del tempo non mi interessano proprio più. Le rivolte e le rivoluzioni si fanno per abbattere dei governi di merda, come disse il maggiore Maia Salgueiro sul Terreiro do Paço, la mattina del 25 aprile 1974. Ai rivoltosi e rivoluzionari messicani non piaceva il governo di Huerta, e se non ci credete andatelo a chiedere a Pancho Villa, a Emiliano Zapata, a Venustiano Carranza. Mi risulta che a Cuba sia stato rovesciato un governo, quello di tale Fulgencio Batista; e non credo che i tipi con la barba lunga sulla Sierra Maestra si ponessero eccessivi problemi teorici. Ora, chiaramente, esagero. Quella di oggi non sarà certo la rivoluzione, nemmeno quella auspicata da Monicelli; ma quant'è che non si vedevano cose del genere in questo paese? Che ci si cominci forse a risvegliare dal funestus veternus, senza dichiarazioni roboanti o vane illusioni, ma nemmeno senza quello stupido gioco al massacro che interrompe sul nascita ogni scintilla? Un paese di merda, d'accordo; ma è altrettanto di merda bloccargli sul nascere ogni cosa perché dev'essere sempre e per forza di merda, di default. E di questo nichilismo d'accatto io ne ho definitivamente pieni i coglioni.

Infine, i black bloc o come cazzo li si vuole chiamare. Black bloc una sega. Oggi si voleva assaltare il Parlamento italiano mentre c'era la votazione sulla loro fiducia. Nessuna "cieca violenza", come vorrebbero gabellare le gazzette di regime, ma un obbiettivo. Come è successo dappertutto in Europa in questi tempi, dalla Grecia all'Islanda; in Islanda, a proposito, è stato rovesciato un governo. Qualcuno lo sapeva? E quelli là rinchiusi a Montecitorio, a contare i voti, gli Scilipoti e i Calearo, mentre fuori parecchie persone intendevano andare a presentar loro dei voti un pochino differenti.

Arrivato al termine di questo post, mi salgono alla tastiera parole strane e solforose. Tipo insurrezione. Forse esagero, ma preferisco esagerare piuttosto che far finta di niente, e di dedicarmi a parlare del gatto, delle mie mene esistenziali o del tempo che fa (un freddo da pelare). Siamo, è vero, molto bizzarri. Quando va a fuoco la Grecia, siamo tutti greci e ci si commuove con le fotine del cane insurrezionalista. Quando va a fuoco qualcosa qui da noi, ci si rintana a parlare d'altro e ad assistere al regime che parla di guerriglia teppista o roba del genere; oppure si ciancia di morte della democrazia quando qui da noi non è neppure nata; oppure ancora si presenta tutto come azione di branchi, esercitando l'arte tutta italiana di non prendere mai una posizione netta su quel che accade (che, poi, è quel che ci accade). Ma intanto qualcuno, per strada, usa un linguaggio molto differente, e pienamente convincente. Prende posizione. Si libera delle catene della legalità imposte da un sistema delinquenziale. Inutile che vi voltiate dall'altra parte. Quella gente, quegli studenti, quei chiunque là fuori ci stanno dicendo che è finita, e definitivamente, la pace terrificante. Non è insurrezione? Non è rivolta? Si metteranno per ora le lettere alla rovescia, come nel titolo. Ora sta a tutti metterle nel giusto verso. Ed è un verso che sa di fiamme, e non può sapere d'altro.