Ti offro pagine riempite di parole e pensieri; ti offro quintali di sigarette fumate in notti solitarie, di passeggiate nei dintorni fatte soltanto per sentire il rumore dei passi, di improvvise voglie di partire, di gesti senza una spiegazione.
Ti offro elementi sparsi di una vita intera, il nickname di "Thapsos", le scale del sottopasso di una stazione, uno striscione di lotta e un parcheggio nel buio.
Ti offro un non so di ieri, un non so d'oggi, un non so di domani.
Ti offro bestemmie su treni di merda, attese al binario 8, 10, 11, ponti indiani, e ti offrirei qualsiasi cosa che incollasse l'intercity alle rotaie la domenica sera.
Ti offro i miei piatti strampalati, la spuma rossa, gli ultimi relitti di etimologie.
Ti offro qualche risata se mi viene di fartela fare.
Ti offro qualcosa che ancora non conosco; ma se la conoscerò la vorrei dividere con te.
Ti offro le mie storie, che valgano o meno qualcosa. Ti offro quel che mi passa per la testa ogni momento, e ogni momento che mi passa per la testa.
Ti offro le mie fissazioni, le mie assenze, le mie contorsioni. Incroci incasinati, narcolessie, amici bizzarri, discese nel profondo, caravelle di libertà immaginate, tempo che non vorrebbe essere passato, unghie lunghe, vento di primavera, ellissoidi di desiderio, rocío de la madrugada.
Ti offro quel che mi rimane di passo di corsa quando arrivi.
Ti offro uno screwdriver, eh eh eh!
Ti offro quel che sono, in good and evil.
E ti offro soprattutto una cosa che qui non è opportuno dire.
E se ci sarà la fine del mondo, che importa. Alla fine di gennaio di qualche tempo fa, tanto, ne è cominciato un altro che non è coperto da nessuna profezia.
Auguri, e di quelli sodi.
Auguri, e di quelli infiniti.
Auguri, e di quelli che sbriciolano i chilometri.
Auguri, a te che non sapesti mai dire che sensazione ti prese.