giovedì 18 ottobre 2007

Canzone della vita quotidiana


Inutile dire che questa cosa arriva dal newsgroup di Guccini. Venti maggio duemiladue. Oggi invece è il diciotto ottobre duemilasette. Basta soltanto adattare l'anno.

Inizia a varie ore, dal buio più fitto (col gatto che fa dei miagolii strani) fino ad albe da inciampare nel tappeto del bagno o a mattine già fatte; ma in questo non c'è alcuna differenza. Ore davanti? Tante o poche, la maggior parte saranno davanti a quella scatola col monitor che è sostentamento, gioia, disperazione, divertimento e noia. Ogni tanto una telefonata, un messaggio, uno squillo; gente che ti vuol bene, gente che non gliene frega nulla di te, a volte persino gente che ti vuol male e vuole farti male.

La vita quotidiana ti ha visto e già succhiato, come il caffè che bevi appena alzato. E dire che, a volte, il caffè non c'è neanche, o non hai voglia di fartelo. Ci avresti, invece, voglia di qualcosa che non sai, di meno liquido, di meno aromatico e di più indefinibilmente pazzo. Ma l'acqua fredda in faccia non riesce a cancellare i tuoi sogni, non annega niente nel lavandino sporco; c'è sempre qualcosa che ti fa tirare avanti, sperso, inconcluso eppure vivo.
Mentre un sonno arruffato e irregolare finisce.

E cominciano le farneticazioni, le attese, i fax e le sigarette una dietro l'altra, Diana Blu; i portaceneri che assumono strane forme, l'aria e la luce tra gli avvolgibili, gli affanni in ogni cosa -che tu ci creda o meno. Il lavoro, il silenzio; il silenzio, l'attesa. Dietro l'angolo ci potrebbe essere una vita cambiata, ci potrebbe essere la vita e forse anche la morte; pronto, chi parla? Ci sarebbero quattro cartelle, ci sarebbe un calcio a tutta una sequela di melme, sabbie mobili, divagazioni, incomprensioni, rovine.

Furiose e vane corse, angosce, liberazioni momentanee, la voglia d'esser sempre meno ammodo da un lato, e quella di normalità dall'altro. E anno dopo anno ci son da fare tanti conti, con se stesso e con il salumiere, con l'esistenza e con l'azienda del gas. E ti ricordi quando ti arrivò una bolletta sbagliata da centodieci milioni, ti ricordi quando eri un ragazzo che si voleva prendere tutto dalla vita, ti ricordi i prosciutti e i salami di panini gommosi, ti ricordi di quando non c'era un solo te stesso.

Ipocrisie leggere e rabbie da poco prezzo, qualcosa va pure sfogato. Persone come te, da un'altra parte, che vivono la tua stessa vita e giocano all'amore, all'odio o all'indifferenza. E i fatti, i fatti filtrati da un foglio di carta o da un televisore; lontani, sempre più lontani. E ti accorgi di quante poche persone t'importa veramente, e non sai neppure se a loro importa così poi tanto di te. Si apre una scatoletta, si butta una pasta o si esce per una trattoria senza nome; ingoiare vino come s'ingoierebbe uno schiaffo o una carezza.

Saluti, saluti, senza mai incrociare gli sguardi. Tranne poche volte che riesce di ritrovarsi da qualche parte, e alcune di quelle volte sconciate da una parola, da un gesto, da degli eventi indesiderati. La rabbia aumenta e viene compressa, delle foto ti guardano beffarde attaccate alle pareti. Ma sono io quello? Per che cosa sorridevo in quel momento? Per chi dicevo di vivere la vita? Ma sarà stato tutto vero, o è un sogno ad occhi aperti? Ma per quel sogno si continua a mandare avanti la baracca, sempre pronto a girare ogni angolo esercitando l'arte dimenticata dell'attenzione.

E tutto fatto in fretta, con la voglia di fermarsi da qualche parte ben sapendo che non accadrà mai. Dove si va adesso? Si va per un quartiere? Come mai non lo riconosco, dov'è la panchina di piazzetta San Luigi? Dov'è la Loretta e quei suoi centoventi chili di buonumore? Dove sono? Ah, ecco. Sono al computer, quello non manca mai, maledetto e benedetto a lui. Sono a toccarmi per controllare se in quest'anno si può ancora sperare di dare alla vita un significato che non sia solo quello letterale del termine, e che poi tanto letterale non è.

E' sera, hai fatto la tua quotidiana collezione di improperi e blandizie, di versioni ed avversioni, di conoscenze e lontananze, di telecomandi e bottoni, di piatti da lavare e di lavaggi frettolosi. C'è un calzino che stringe, come mai ci metteranno quegli elastici feroci. Non c'è nessuno, eppure c'è un po' di tutto il mondo qui dentro, dentro te; prima o poi qualcuno lo capirà. Ma non c'è che un filo di fumo che si alza da una sigaretta mal spenta che ha concluso la sua esistenza. Parte un autobus e tu non ci sei sopra, sarai sul prossimo; inizia il pallore esangue della notte andante.

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