lunedì 22 ottobre 2007

La forma del sogno


Dalla stanza interna del "circolino" arriva la telecronaca della partita; e io sono lì fuori, a fumare. Senza nessuna voglia di tornare dentro. Eppure c'ero andato apposta; m'ero cambiato, infilato un maglione pesante perché fa un freddo che si pela, dato una pettinata frettolosa, messo le scarpe. Eccomi qua. La partita è in corso. E tu non la vedi. Sei fuori, al freddo, a respirare aria gelida e a tirare boccate di fumo trapassando i muri.

Quanta gente. Dalle scale arrivano tre ragazzi correndo, ed escono. Anche loro a fumare. Si mettono a parlare. Uno, fra poco, deve andare a lavorare: fa l'aiuto fornaio. Coi suoi amici parla di quella vita dura, dei pochi soldi che guadagna, del dover dormire di giorno. "La domenica m'è toccata dormirmela", dice. Avrà sì e no vent'anni, ventidue. Esce una ragazza truccata male, pesante; un boato. Avrà segnato qualcuno? No, no, è un goal sbagliato. Maledizione.

E pensionati a giocare alle carte, nella sala attigua altri ragazzi tirano freccette a un bersaglio. Fuori, il vuoto e il freddo. Non c'è nulla in questo quartiere, la sera. E' un quartiere tranquillo, non è fatto per gli irrequieti come me. Bisogna andarsene, andarsene via. Bisogna impedire di prosciugarsi nel freddo di una sera di ottobre che sembra già inverno.

Non è nessun mito, la solitudine. Non è nulla di cui bearsi, non ha mai un buon sapore. La si può trovare bella soltanto quando non si è soli, e quando rappresenta una pausa, un diversivo. Quando uno è solo, o vi si ritrova per un periodo più o meno lungo, eccola che appare in tutta la sua bruttezza, in tutta la sua secca natura. Ci si ritrova da un lato a non aver voglia di nessun contatto, e dall'altro a cercarne di casuali. Due cose che sembrerebbero in contraddizione, ma solo chi è solo o chi è stato solo le conosce bene. E diventa un'affollatissima solitudine: ti sfilano accanto, davanti e dietro altre persone che trovi impossibile trattenere. Appoggiato a una ringhiera a guardare. A pensare: Che ci vorrebbe? Ora studio il gesto giusto. Lo sguardo appropriato. La mezza parola, perché una mezza parola a volte può cambiare tutta una vita. E non fai niente.

Bloccato. A far finta di andare a guardare una partita di calcio di cui non ti importa nulla. Ad ascoltare l'aiuto fornaio che deve andare a lavorare. A lasciar partire verso il tuo oblio, neanche allegramente, una ragazza truccata male. E bisogna andarsene. Non importa che sia lontano, può essere anche a un quarto d'ora di autobus. In un posto dove ci sia una finestra che si apre, due chiacchiere, una faccia nuova.

Je bouge lentement, sans rien dire. Changer de langue, c'est comme changer de logement. J'ai honte de mon accent, ce soir, j'ai honte d'être sorti pour ne rien faire. J'ai honte de mon visage. J'ai honte de mes mains qui n'ont pas le courage de toucher ceux qui passent. Vous! Qui êtes-vous? Des inconnus? Non. Je vous connais. Vous êtes la foule de ma solitude, et vous le savez même si vous n'oserez jamais le dire. Vous êtes la duresse de ce pont qui mène je ne sais pas où, et que je dois passer pour aller ailleurs. Passez donc. Allez-vous en. Foutez le camp. Je ne peux pas vous retenir.

Alla fine si ride.

Si allargano le braccia in un gesto sconsolato ma pieno di ironia. Ma come. Non sei voluto uscire a mangiare fuori con un amico perché non avevi voglia di vedere nessuno. Poi te ne sei andato al circolino a venti metri da casa a vedere una partita. Per avere un pretesto qualsiasi per appoggiarti a una balaustra e guardare chissà quali altre chimere. Ma le chimere hanno una caratteristica strana, sai. Sì che lo sai bene. Bisogna accumularle. Accumulandone pazientemente, un giorno, un giorno qualsiasi sanno plasmarsi e dare la forma tangibile, carnosa, parlante forma del sogno che vai cercando, ostinato, da una vita.

2 commenti:

Giuseppe ha detto...

ciao riccardo. vedo che stai utilizzando una mia immagine per il tuo articolo. vorrei ringraziarti per la scelta ma ricordarti al contempo che tutta la mia opera è protetta da licenza creative commons per cui sei tenuto a rispettarne i termini, in particolare l'attribuzione.
per chiarimenti, sentiamoci via mail.
grazie
pippo piersantelli
http://www.piersantelli.it/blogger.html

Riccardo Venturi ha detto...

Carissimo Pippo, prima di tutto ti chiedo scusa per l'utilizzo forse indebito che ho fatto della tua immagine. Sinceramente, per illustrare i miei post, prendo delle immagini reperite con Google scegliendo quella che mi sembra più adatta, e senza preoccuparmi -a torto- della loro proprietà intellettuale. Ad ogni modo sono pronto, a tua scelta, o a lasciarla inserita nei termini che riterrai più opportuni, oppure a rimuoverla; rinnovandoti le mie scuse (peccai senza malizia, sinceramente), ti saluto.